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…e abbiamo saltato lo steccato

Nelle parole di molti commentatori, il decennio che ci apprestiamo a vivere è prefigurato come una sorta di incubatrice: un semenzaio di novità prodotto da uno strappo storico. Abbiamo saltato lo steccato, tra Covid e Guerra d’Ucraina, trascinandoci dietro molta della polvere del passato, e ora attraversiamo una terra incognita.

Ora, un’idea di questo tipo diviene particolarmente stimolante se si adotta un’ottica storica non-consequenziale, “longitudinale”: un’ottica comparatista. La Storia vuole, in effetti, che nel nostro passato recente sia facilmente identificabile un altro decennio oltre lo steccato da mettere in controluce: gli anni ’90. Un periodo fermentante, ben segnato al suo margine inferiore dal colpo d’ascia del 1989, e interamente occupato a distillarsi come post, come nuovo.

Non per caso, la cifra del decennio finale del ‘900 è – per noi occidentali in particolare – certamente descrivibile da due “adolescenze”. Gli anni ’90 sono stati la pubertà dell’Unione europea: mamma America – con Clinton che accompagnava con il sax – ci portava da McDonald mentre Russia e Cina ci guardavano dal marciapiede, con i fiati ad appannare le vetrine. Negli stessi anni, d’altra parte, iniziava a metter peso e a guadagnare in altezza anche la rete: sull’humus al silicio dell’elettronica, dell’home entertainment, le tecnologie digitali dell’informazione iniziavano a scoprire il loro portato iper-trasformativo sui sistemi sociali e economici.

Le rispettive maturità, è chiaro, hanno prodotto quella Globalità digitale di marca Occidentale, pacificamente gaudente dell’assenza categorica del nemico, che ha dato la forma ai primi vent’anni del 2000.

Culturalmente, la parola chiave per i ‘90 può essere fusion. Il post-Postmodernismo, lasciata dietro allo steccato la sua furia “debole” contro il pensiero “forte”, si era abbandonato all’accozzo, l’addossamento, il patchwork, il rattoppo che trasforma la complessità in una meno problematica eterogeneità. Quasi al centro del decennio, non per caso, Infinite Jest di Davide Foster Wallace si era accampato come pietra angolare di migliaia di pagine frastagliate, fatte di testo e paratesto; canto, controcanto, frammento, divagazione, esenti da risoluzione.

È stato questo atteggiamento a farci tralasciare la portata a medio termine di eventi come quelli della ex-Jugoslavia. Solo ora comprendiamo che in quella periferia enormemente distante – socialmente, culturalmente e economicamente – piantava i piedi un’altra “adolescenza”, primo seme della revanche russa che viviamo ora.

­A dire il vero, in quegli anni per noi la Storia era tutta in periferia: in Iraq, in Somalia, in Ruanda, in Palestina. Perfino gli eventi di Seattle del ’99 furono lontanissimi dall’Europa e dall’Italia: non a caso, Genova 2001 fu un terribile risveglio. La cultura di massa ondeggiava tra Aladdin e Schindlesr’s List, Pocahontas e Trainspotting. Tarantino, già nel 1992 con Le Iene, coglieva e riassumeva – più incisivamente dei nostri “scrittori cannibali” – lo spirito del tempo, costruendo un nuovo cinema fatto di citazione. La Storia è finita; davanti non c’è nulla di interessante: allora si prenda il passato, lo si riusi, giocando e sovraccaricando.

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Ora, nel 2022, il salto dello steccato è complicato perché duplice. Priva il Covid e poi la Guerra. Caso vuole però, che almeno in via ipotetica, i due processi possano convergere in un’unica “adolescenza”, almeno in termini di “sistema mondo”. L’uno e l’altro, in effetti, fanno un bello sgambetto a quella Globalità di cui abbiamo parlato poche righe sopra. A suffragare l’impressione c’è anche l’idea che la fine del decennio pronosticata dall’Agenda 2030 si voglia orientata proprio ad una moderazione degli effetti deteriori della globalizzazione: imperano nel documento i crismi dell’equità, della sostenibilità, della solidarietà.

È chiaro, poi, che l’esito più incalzante di questa “adolescenza” sia inerente al ritorno a un mondo diviso. Una martellata sugli esiti ancora degli anni ’90. Forse abbiamo saltato lo stesso steccato, all’indietro? Può sembrare, ma non è: le carte in tavola sono state decisamente rimescolate. Senza girarci intorno: dietro la Russia sta la Cina; da quando nel 2001 – a ridosso appunto dei ’90 – è stata accolta nel WTO, la nazione di Xi Jinping è cresciuta esponenzialmente; è padrona, attualmente, del 30% della crescita economica mondiale. Intorno all’Impero del Centro si piegheranno la Russia e l’India. Il Mar Cinese meridionale diverrà esplicitamente terreno di conquista. La Banca Asiatica per gli Investimenti Strutturali sostituirà completamente il FMI e il progetto egemonico One Belt One Road andrà a costituirsi come tessuto venoso per la completa colonizzazione commerciale dell’area.

Quando si recita il mantra “è una guerra contro l’Occidente”, si tradisce la paura – ad oggi soprattutto americana – che il modello delle così dette autocrazie possa valere come sostitutivo: possa cioè prevalere strategicamente sul modello democratico che fa da perno al pensiero sociale e politico occidentale. Abbiamo paura di rimanere noi, dietro lo steccato. Stiamo volutamente lasciando le pagine più grigie della storia recente d’Ucraina nell’ombra: pesano sul salto. Stiamo pure lasciando, in bilico fra il prima e il poi, la transizione ecologica.

Anche per questo le partite strategiche dell’energia e della tecnologia comporranno l’altra – ma interconnessa – “adolescenza” del decennio. I successi sperimentali della Fusione nucleare nel JET Tokamk e nel programmato ITER 2027 gettano semi importanti, capaci far nascere un nuovo dis-equilibrio economico globale, nella nostra incubatrice. Più di tutto farà l’esplorazione extra planetaria, che, mentre viaggia verso Marte, tiene lo sguardo fisso sullo Spazio terrestre, strategico militarmente e già sostanzialmente connesso per mezzo di Starlink.

Sebastiano Bertini

Lo Scavalco è una scorciatoia, un passaggio corsaro, una via di fuga. È una rubrica che guarda dietro alle immagini e dietro alle parole, che cerca di far risuonare i pensieri che non sappiamo di pensare.

Sebastiano Bertini è docente e studioso. Nel suo percorso si è occupato di letteratura e filosofia e dai loro intrecci nella cultura contemporanea. È un impegnato ambientalista. Il suo più recente lavoro è Nel paese dei ciechi. Geografia filosofica dell’Occidente contemporaneo, Mimesis, Milano 2021. https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857580340

Sebastiano Bertini

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