Il Governo russo guidato da Vladimir Putin, ha dichiarato guerra all’Ucraina. Tra le due nazioni i rapporti sono tesi dai tempi dell’Unione Sovietica e il successivo scontro a viso aperto – dal punto di vista politico, economico e diplomatico-militare – è iniziato nel 2014. La comunità europea e mondiale è in fibrillazione. Preoccupate sono, oggi più che mai e per tanti motivi, anche le nostre comunità. Lo siamo noi.
La guerra in Libia non è stata da meno, con i caccia che ogni giorno sorvolavano chiassosi sulle nostre teste determinando persino la chiusura dell’aeroporto “Vincenzo Florio” di Birgi ai voli civili e una perdita notevole (e la pandemia da Covid-19 era ancora lontana) per l’economia del territorio trapanese.
Di certo però oggi stiamo vivendo una guerra vicina alla nostra quotidianità, che minaccia quello che dovrebbe essere il caposaldo del Vecchio Continente, l’Europa unita, e che si sta sgretolando in tutti i suoi punti fondanti: unione monetaria e libera circolazione di merci e persone. All’apparenza poco importante, ma invece alquanto rilevante, è la mole di informazioni che ci provengono, rispetto anche al (recente) passato, sul conflitto russo-ucraino.
Il Covid sembra lontano, gli inviati di guerra hanno preso il posto dei virologi in tv ed è tornato il buon giornalismo, quello che ci racconta ad esempio Monica Maggioni al Tg1. Persino i Social hanno il merito – per una buona volta – di renderci palpabile la guerra in Ucraina, le bombe, le proteste, i canti di pace per il Paese grazie ai video su Twitter e su Tik Tok. I cellulari puntati alle finestre con le esplosioni a Kiev e il terrore di chi ha lasciato i familiari sotto i missili, di chi sta scappando in macchina raggiungendo i confini con la Polonia.
I Social Network, dalla loro nascita, hanno fatto questo: ci hanno reso iperconnessi, con le nostre preferenze spammate poco dopo aver pronunciato una marca sul microfono del telefonino o dopo una ricerca su Google, con le carte di credito per i pagamenti con un click, ma indubbiamente ci ha uniti, da qualsiasi parte del mondo. E non ci sono più scuse per non essere partecipi del cambiamento, adesso. Non ci sono più ragioni per non conoscere la nostra storia, perché il passato oggi ci segna irrimediabilmente. E forse è proprio vero che “ciò che siamo è ciò che eravamo”…