Tra novembre del 2020 e febbraio scorso, senza non poca eco mediatica ma mai bastevole, Marsala ha dato alla luce il sito punico più grande del mondo Mediterraneo e il più importante degli ultimi 30 anni. Tra le vie De Gasperi e Colacasio, i lavori per il rifacimento della rete fognaria hanno fatto riemergere i resti di due camere ipogee contenenti il corredo funerario e i resti di corpi inumati, scavi che, però, hanno mostrato la parte più vulnerabile di una Città nuova che si erge sulla vecchia Lilibeo. Tombe antiche e preziose tra i palazzi e una fragilità urbana correlata a tutte le condotte idriche, reti fognarie e quant’altro serve oggi a dare forma alla civiltà odierna. Senza non pochi disagi.
Il primo ipogeo, databile intorno alla metà del IV secolo a.C., presenta due camere funerarie di forma quadrangolare di circa 4 metri quadri, in cui sono stati rinvenuti i resti di 5 corpi, 3 adulti e 2 bambini, con relativo corredo funerario: alcuni vasi e piccoli oggetti in metallo del IV secolo a.C..
Il secondo ipogeo, all’angolo tra Corso Gramsci e la via Colacasio, adiacente all’ingresso della Guardia di Finanza, si presenta come una struttura su più livelli che ha vissuto diverse fasi architettoniche nei secoli. Un primo ambiente di forma rettangolare di circa 35 mq sembra essere l’unione, in epoca romana, di preesistenti sepolture puniche (IV-III secolo a.C.). C’è altresì tutta una serie di sepolture ricavate lungo le pareti: 6 tombe a cassettone con corpi umani, 8 loculi e 8 nicchie. Al loro interno è stato trovato materiale ceramico e lucerne figurate collocabili dal II al IV/V secolo d.C. tra il culto giudaico e quello cristiano. Ad una profondità di circa 50 centimetri ad un massimo di 3,40 metri rispetto al piano stradale, sono state ritrovate circa 50 tombe a pozzo e a fossa rettangolare riferibili alla necropoli punica del IV-III secolo a.C.
I lavori – commissionati dalla Sogesid S.p.a, ditta esecutrice Venezia S.r.l. in ottemperanza alle prescrizioni della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Trapani – si svolgono sotto la direzione scientifica dell’archeologa Giuseppina Mammina e condotti da Sharon Sabatini (SAMA Scavi Archeologici) e dall’archeologo Sebastiano Muratore.
Tutta questa ‘grande bellezza’ però, cela ad oggi una grave situazione di stallo su più versanti. I lavori, iniziati il 21 settembre 2020, sono fermi dal 20 maggio scorso. Lavori – di circa 8 milioni di euro – che servivano a rifare le fognature visto che Marsala non ha un impianto funzionante.
Cosa accade, per legge, quando nel corso di lavori pubblici si fanno dei ritrovamenti archeologici? A grandi linee, in ogni bando c’è la voce Imprevisti che in Sicilia e in altre regioni è dedicata proprio alla parte archeologica. In una fase preventiva, se le perizie hanno stabilito un rischio archeologico, si procede con lavori di scavo propedeutici agli altri interventi, necessari per una eventuale deviazione della nuova fognatura. Insomma le soluzioni ci sono, ma nessuno può e vuole attuarle. Al momento c’è una voragine profonda 8 metri circa vicino al traffico dei mezzi che continuano a transitare nella strada nonostante la recinzione; grave se la voragine si allargasse sempre più. Inoltre gli scavi sono pieni di rifiuti che la gente butta in maniera indiscriminata, deturpandoli.
In interventi di questo tipo funziona così: si scava, si studiano i reperti, si conservano e si mettono in sicurezza o nel sito stesso o in un altro luogo; poi il sito delle scoperte viene richiuso appositamente.
Ci si pone una prima domanda: perché i lavori sono fermi da oltre un mese? Perché, pare, che a Marsala l’archeologia sia visto come un problema, perché i fondi sono insufficienti e perché la bonifica bellica non è stata completata per tutta la rete fognaria. In tutto ciò, al termine dei lavori non si sa neanche se la rete fognaria possa funzionare. Seconda domanda: dove sono l’assessore regionale Samonà e l’amministrazione comunale marsalese? Tutto tace dal fronte in attesa di una presa di posizione. La Soprintendenza dal suo canto si spende e fa il suo dovere. Ma ciò non basta.
Al momento Marsala è una polveriera che può sopravvivere solo con l’amore dei suoi cittadini: archeologia e progresso possono lavorare in sinergia se c’è la volontà di farlo. Un esempio ne sono la Metro C di Roma o gli scavi urbani di Palermo. Conserviamo come un gioiello il passato di questa città, perché è linfa vitale per conoscere la storia e tramandarla in futuro.