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Rosario e Peppino

Tanto diversi, quanto simili. In questi giorni la Sicilia ricorda due tra i suoi figli migliori, Peppino Impastato e Rosario Livatino.

Speaker radiofonico, attivista antimafia, militante di Democrazia Proletaria, il 30enne di Cinisi fu ucciso dalla mafia, la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. In queste ore, come ogni anno, si rinnova il ricordo del suo omicidio, ma soprattutto del suo impegno pubblico e privato per la liberazione della Sicilia dalla prepotenza di Cosa Nostra.

Rosario Livatino aveva 38 anni (8 in più di Impastato) quando fu inseguito, speronato e colpito a morte da quattro sicari assoldati dalla Stidda, lungo la Strada Statale che collega Caltanissetta e Agrigento.

Se a Peppino costarono care le denunce dalle frequenze di Radio Aut contro il boss Gaetano Badalamenti, Rosario pagò la sua condotta di magistrato integerrimo in una realtà complessa e periferica, lontana dai riflettori mediatici dei grandi centri eppure considerata strategica dalle famiglie mafiose siciliane.

Poco più che ragazzini per un Paese da tempo arroccato su sciagurate posizioni gerontocratiche, Impastato e Livatino sono diventati gradualmente punti di riferimento per le nuove generazioni, cresciute nella voglia di emanciparsi dai condizionamenti mafiosi e di non rassegnarsi all’irredimibilità del Sud.

Se Peppino è una sorta di santo laico per la comunità antimafiosa e antifascista siciliana, che ogni anno torna a Cinisi per celebrarlo, Rosario – cattolico praticante – sarà dichiarato ufficialmente beato domenica, dopo che le autorità vaticane ne hanno riconosciuto il martirio.

“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”, ebbe a dire durante gli anni in cui esercitò la propria professione. E a rileggerla adesso, quella frase di Rosario Livatino sembra un monito di grande attualità, in un periodo quanto mai difficile per la magistratura italiana, scossa da scandali e inchieste che ne hanno fortemente incrinato la credibilità, sporcando ingiustamente il lavoro serio ed encomiabile che tanti operatori della giustizia continuano a svolgere, tra mille difficoltà, in realtà territoriali periferiche e complicate come la nostra. Così come attualissime risultano le parole con cui Peppino Impastato incalzava, oltre che i boss, anche i partiti della sua area politica, non sempre capaci di interpretare le istanze di cambiamento di quegli anni.

Ricordare Rosario e Peppino assieme, in questa sede, è dunque l’occasione per riflettere su quanto si possa fare per la propria terra, con ruoli e stili diversi. Ma anche di quanto siano preziosi quegli spiriti eretici capaci di guardare al proprio tempo senza indulgere in un senso di appartenenza fine a se stesso, che spesso finisce per essere il miglior alleato di chi non ha alcun interesse a cambiare le cose.

Vincenzo Figlioli

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