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I 14 anni del Vescovo Mogavero a Mazara: la sua eredità pastorale

Da un articolo di don Vito Impellizzeri per l’opuscolo diocesano Condividere_
Perché la storia di una Chiesa locale diventi tradizione è necessario che il popolo di Dio faccia memoria. Il 1° aprile di 14 anni fa (era il 2007) fa monsignor Domenico Mogavero faceva l’ingresso come Vescovo nella Diocesi di Mazara del Vallo. Quattordici anni sono due generazioni di Vangelo, secondo la narrazione della genealogia di Gesù di Nazareth nel testo di Matteo. È tempo di memoria, tempo di discernimento del passaggio di Dio nella nostra Chiesa attraverso la mediazione e il governo di un Vescovo.

Il tempo della Chiesa per diventare tradizione, cioè eredità pastorale, trasmissione della fede, cammino profetico, non deve semplicemente diventare passato, ma deve diventare memoria. La memoria custodisce il legame con la storia attraverso la fede e la gratitudine, e orienta al riconoscimento della presenza provvidente di Dio nelle proprie gioie e vicissitudini ecclesiali ed umane.

Mi pare che di questi quattordici anni possiamo ricordare alcuni passaggi di orientamenti pastorali decisivi. Il primo passaggio, quello del suo arrivo dall’esperienza nazionale della Conferenza Episcopale Italiana, riguarda soprattutto quanto fu proposto al Convegno ecclesiale di Verona come conversione pastorale: la centralità della persona nelle sue condizioni concrete e la pastorale integrata. Sono per noi gli anni dei Piani pastorali tra la fede e la vita attraverso la celebrazione dell’Eucarestia, dove abbiamo provato ad assumere i riti della celebrazione in modo anche esistenziale e relazionale, avviando così un vero umanesimo eucaristico, che trovasse nel sacramento la sua forza e la sua grazia. In questo primo passaggio abbiamo coniugato gli ambiti di Verona, ad esempio la fragilità o il lavoro e la festa, con i riti della celebrazione, come ad esempio l’offertorio, e attraverso una riflessione pastorale convergente abbiamo provato a delineare una figura testimoniale dall’eucarestia. Rimane, ad esempio, forte la categoria maturata dell’identità del popolo di Dio come popolo dell’amen.

Un secondo passaggio invece è rintracciabile nell’assunzione del contesto mediterraneo della proposta di un nuovo umanesimo. Il Mediterraneo è diventato sempre più parola forte, continuamente richiamata, nella sua riflessione di Vescovo e nella sua proposta di vita per la nostra Chiesa e soprattutto nella proposta della nostra Chiesa locale nella sintonia e nell’unità dell’unica Chiesa universale. Il Mediterraneo come sinfonia visitato attraverso tre note: il dialogo interculturale e interreligioso, la comunione episcopale, la solidarietà.

Il dialogo fra religioni e culture. Cominciano diversi convegni ed eventi a respiro interreligioso, si dà forza alla questione islamica, si avviano percorsi di studio e di dialogo islamo-cristiano. Si intuisce che il dialogo interreligioso, il pluralismo religioso, è un vero segno dei tempi, e che il nostro compito è di farne una via di pace. In questo modo si recepisce la memoria, tradizione appunto, di quanto san Giovanni Paolo II venne ad indicarci sul lungomare san Vito proprio a Mazara del Vallo, l’8 maggio del 1993, restituendo alla nostra identità di Chiesa locale il volto trasfigurato di una Chiesa come crocevia delle culture e delle religioni. Cosa resta oggi di questa scelta del dialogo? Una biblioteca per bimbi che custodisce anche libri in arabo e che propone percorsi pedagogici interculturali alle famiglie delle diverse culture e religioni. Una cattedra di islamistica, che offre ogni anno percorsi seminariali e di studio di qualità formativa. Un Centro di formazione giovanile per Operatori di Pace, proprio nel contesto Mediterraneo.

Ma la seconda nota della sinfonia mediterranea è la comunione episcopale. Ovvero la relazione di fraternità e di reciprocità che in questi anni il nostro Vescovo ha intessuto con i Vescovi della Conferenza Episcopale del Nord-Africa, partecipandovi ormai abitualmente, quasi a dire della doppia appartenenza, oltre quella italiana. È un legame di fraternità episcopale, di unità, di comunione, molto forte e molto feconda, perché consegna alla nostra Chiesa il soffio vitale, lo Spirito Santo, che aleggia ancora sulle acque del mare nostrum. Anche nota scelta ha una sua radice di tradizione: la nostra Chiesa da diversi decenni ormai vive un gemellaggio comunionale con la Chiesa di Tunisi. Le due Chiese da decenni si parlano, vivono momenti di conoscenza e di scambio.

La terza nota, quella più evidente per tutti, quella che passa per una forte tradizione di carità della nostra Chiesa locale, prima con la Caritas diocesana e poi con la Fondazione San Vito Onlus, è quella della solidarietà. Solidarietà vuol dire concretamente accoglienza, aiuto, sostegno, accompagnamento. La questione degli immigrati non può essere letta nella sola categoria socio-politica dell’emergenza ma nella categoria umana-relazionale della fraternità, dell’aiuto, del soccorso, della solidarietà. Il discorso umano in difesa degli immigrati e della loro accoglienza e della loro integrazione è diventato in questi decenni una delle parole più forti con cui la nostra Chiesa costruisce il regno di Dio nella storia e con sui si pone con la differenza del vangelo e della fraternità di fronte alle logiche del mondo.

Un terzo passaggio, quello più recente, che il tempo della pandemia ho smorzato nelle sue possibilità di sviluppo e di visibilità: quello della Visita pastorale. È stata preparata a lungo, è durata diversi anni, si è celebrata in tutte le foranie e tutte le parrocchie. Doveva portare a convergenze pastorali che facessero sentire la sinfonia spirituale di una Chiesa locale e invece è stata succeduta dal drammatico tempo pandemico del Covid e della sospensione di quella relazione che passa dai contatti, dalle assemblee pastorali, dagli incontri.

La Visita pastorale, grazie alla quale il Vescovo ha potuto avere un contatto diverso con le realtà della nostra Chiesa locale, ha dovuto cedere il passo a una pagina relazionale attraverso i social, attraverso la rete, attraverso altre tipologie di contatti. Una nuova pagina di frattura storica, di cambiamento d’epoca per tutti. Ci saremmo aspettati il riprendere un cammino sinodale frutto della Visita pastorale, anche questo con una autentica radice di tradizione, ovvero il XV Sinodo della nostra Chiesa locale, per elaborare insieme una nuova e necessaria progettualità di annuncio del vangelo nel nostro contesto radicalmente cambiato. Eppure abbiamo vissuto una sosta. Ci siamo tutti fermati. Per attimi anche disorientati.

Lo sforzo comunionale di tutti è stato quello però di non voler perdere i contatti, di restare vicini in qualche modo, di offrire dei momenti di comunione e di formazione, e di celebrazione anche attraverso i social. Nel tempo interrotto e provvisorio della pandemia sta emergendo (qui la logica dell’emergenza ha una sua ragione) la necessità di un umanesimo di prossimità e di vicinanza.

Ed ecco la terza pagina di questa memoria di umanesimo pastorale, mediterraneo, di vicinanza. Forse di vicinanza, come direbbe Papa Francesco nella sua Fratelli tutti, è la categoria di umanesimo che raccoglie queste due generazioni di Vangelo in tre passi.

Ora che dobbiamo fare? Credo che il percorso si concluda in questo quindicesimo anno, che ha le sue radici buone nella tradizione della nostra Chiesa locale, nella categoria della relazione. Le relazioni di vicinanza raccoglieranno l’umanesimo pastorale-mediterraneo e ne faranno tesoro e perla preziosa del terreno buono, sulle rive del mare, della nostra Chiesa locale.

redazione

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