In questi giorni ho letto tanti attestati di solidarietà, più o meno pervasi di ipocrisia. Di solito questo atteggiamento si manifesta nei confronti di persone che subiscono un’offesa, non nei confronti di chi assume una decisione, seppur dolorosa come può essere quella di dimettersi, una volta maturata la consapevolezza di non essere nelle condizioni di assolvere al compito cui si era stati chiamati. È a tutti noto che nel 2019, in occasione delle primarie, ho sostenuto un altro candidato alla segreteria del Partito Democratico, ritenendo che Zingaretti, pur essendo un’ottima persona e quasi sicuramente anche un buon amministratore, non fosse idoneo per svolgere tale ruolo. La gestione di un partito non è mai semplice, se poi si tratta di un partito che, a circa 13 anni dalla sua fondazione, non è mai nato, diventa davvero difficile ed allora, oltre che l’assunzione di responsabilità da parte di tutti (iscritti, dirigenti di partito, parlamentari e amministratori che rappresentano questo partito in seno alle istituzioni), è fondamentale la presenza di un leader che abbia la capacità di includere senza farsi dissolvere, che abbia il coraggio di portare avanti le idee ispiratrici del proprio partito, piuttosto che appiattirsi su quella di altri movimenti, pur di continuare a garantire lo scranno dei propri parlamentari, che sappia indicare la rotta da seguire, piuttosto che modificarla di volta in volta, pur di assecondare le velleità ora di uno, ora di un altro. È necessario un leader che sappia anche dire di no. Qualcuno potrà pensare che abbia gioito della notizia delle sue dimissioni. No. Sentire il Segretario nazionale affermare che “prova vergogna per il proprio partito impegnato a parlare di poltrone”, non può provocare gioia. È semplicemente disarmante perché ratifica le condizioni di degrado a cui questo partito è stato portato. In una lettera aperta, che pubblicai nel 2019, lamentavo che la classe dirigente del PD si fosse allontanata dai cittadini ed avesse trasformato il partito in una terra di conquista da spartirsi proporzionalmente al potere di volta in volta detenuto. L’auspicio era che il rinnovamento tanto declamato si potesse finalmente realizzare con l’elezione di un nuovo segretario che inaugurasse un nuovo percorso. Non mi pare che ciò sia avvenuto con la segreteria di Zingaretti, a giudicare da ciò che egli stesso afferma, e chiedergli di rimanere è semplicemente velleitario. Così come è velleitaria, oltre che falsa, l’unità che si è cercato di imporre. Era importante far passare il messaggio che finalmente, adesso, con Zingaretti segretario, le decisioni erano unitarie, quindi, candidati unitari per i vari circoli cittadini, per le segreterie provinciali e regionali. Il risultato di tale modus operandi è deleterio. Ci si ritrova con Segretari provinciali che disconoscono i relativi Presidenti. Accade a Trapani ma non solo. L’unità può reggere solo se viene costruita faticosamente dai soggetti interessati, non se viene imposta dall’alto, né se scaturisce dalla temporanea convenienza nello stare insieme o da accordi tra fazioni che, possibilmente, saltano dopo tre giorni. Una falsa unità, come tutte le cose false non vale nulla e dura poco. Auspicare che l’Assemblea nazionale rielegga Zingaretti vuol dire non volere il bene, né di Zingaretti, né di questo partito. La maggioranza con cui è stato eletto non era affatto risicata e se, nonostante ciò, egli parla di “stillicidio”, di “guerriglia” vuol dire che non è riuscito a governare logiche di potere che, evidentemente, minano la comunità democratica. Ed è pura utopia illudersi che possa riuscirci successivamente ad una fantomatica acclamazione da parte di un’Assemblea che forse non avrà neanche i crismi di legittimità. Perché sarei anche curiosa di conoscere il numero dei componenti dell’Assemblea nazionale. Saranno mille come era previsto dallo statuto vigente al momento in cui si sono tenute le primarie. Saranno 600 come prevede il nuovo statuto, frettolosamente approvato da un’Assemblea che non si trovava nel suo plenum. Oppure saranno un numero imprecisato. Diciamo: mille meno quelli che si sono dimessi … chissà. Se il rispetto delle regole viene considerato superfluo, si finisce per considerare superfluo anche il rispetto per le persone, siano essi colleghi parlamentari, tesserati, cittadini e, parimenti, il Segretario nazionale del proprio partito. Qualcuno parla dell’epilogo di una tragedia. Forse lo è perché sancisce la morte di un partito che fondamentalmente non è mai nato, continuando ad essere, dopo 13 anni un assemblaggio di ex. Pur, tuttavia, dalla tragedia può scaturire nuova vita, dunque, se finalmente, a qualsiasi livello territoriale nonché, ovviamente, a livello nazionale si trova il coraggio di riconoscere gli errori commessi, di affrontare le questioni invece di nasconderle, facendo credere che vada tutto bene, e si prende consapevolezza che il partito non può essere una torta da cui ciascuno cerca di sottrarre una fetta, quanto più grossa possibile, bensì una casa comune che cresce con la collaborazione di tutti, all’interno della quale ciascuno deve sentirsi al sicuro ed orgoglioso di starci, allora potrà esservi una speranza. Zingaretti, come io immaginavo, non è stato in grado di gestire questo partito ma se avrà il coraggio di andare fino in fondo e non prestarsi al gioco di chi vuole riconfermarlo per poter continuare a gestire sotto traccia il proprio potere, avrà il merito di essere riuscito ad accendere un faro che ha mostrato in maniera inopinabile l’attuale situazione interna. Con la sua scelta potrà offrire l’opportunità per operare un cambiamento che passa necessariamente attraverso la valorizzazione degli iscritti, la funzionalità dei circoli territoriali e il rispetto della pluralità delle idee perché l’unità è un valore aggiunto solo se nasce spontanea. “Quando tutti pensano nello stesso modo, nessuno pensa molto”. Il Partito Democratico ha bisogno di persone che pensano.
Pina Santoro
componente assemblea provinciale PD