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La mafia trapanese: Messina Denaro saldamente alla guida, regge l’alleanza tra le famiglie

Un boss latitante da trent’anni e un’organizzazione radicata, poco incline ai cambiamenti e cinicamente capace di gestire a proprio uso e consumo le difficoltà socio-economiche del territorio. Questa la fotografia di Cosa Nostra in provincia di Trapani che emerge dall’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia.

Storicamente connessa con quella palermitana, la mafia trapanese manifesta “analogo ordinamento gerarchico, identiche modalità operative e tendenzialmente sovrapponibili settori d’interesse”, caratterizzandosi per “un familismo particolarmente accentuato”.

Inalterato da anni lo schema del potere criminale in provincia, che comprende quattro mandamenti (Trapani, Alcamo, Mazara e Castelvetrano) e 17 famiglie.

Le organizzazioni mafiose trapanesi non presentano segnali di mutamento organizzativo, strutturale o di leadership, ed hanno inoltre maturato la consapevolezza dell’inopportunità di promuovere conflitti, come testimonia un’intercettazione di un esponente della criminalità di Castellammare, che a riguardo afferma: “non c’è più nessuno disposto a fare una cosa di questa… i tempi sono diversi”.

Come più volte ribadito, la mafia trapanese mantiene da tempo una forte capacità di penetrazione nel tessuto economico e sociale del territorio, “facendo leva su una diffusa situazione di disagio dovuta alla limitata presenza di iniziative economico–produttive e aggravata dall’attuale crisi pandemica”. Ciò, peraltro, consente di trovare con facilità nuove reclute per la manovalanza. “L’insufficienza di servizi e l’endemica carenza di occupazione – si legge nella relazione della Dia – facilitano le consorterie nei rapporti con la popolazione che, a seconda dei casi, viene approcciata con i tipici meccanismi dell’assoggettamento o del welfare mafioso”.

Due le direttrici attraverso cui Cosa Nostra esercita la propria egemonia: l’esercizio della forza intimidatrice e il perseguimento di politiche affaristiche che coinvolgono l’imprenditoria, gli apparati amministrativi e la politica. Di quest’ultimo aspetto costituiscono testimonianza le numerose attività investigative che, nel corso degli anni, hanno fatto luce su accordi corruttivi che hanno coinvolto politici, funzionari, dirigenti e imprenditori, a vario titolo accusati di associazione mafiosa, corruzione, autoriciclaggio ed intestazione fittizia di beni. Com’è noto, la mafia trapanese privilegia un modus operandi collusivo-corruttivo ricercando patti basati sulla reciproca convenienza. Ciò consente di superare, in molti casi, la necessità di ricorrere in misura massiva al “pizzo”, in quanto è, spesso, la stessa imprenditoria a volersi porre in affari con le consorterie mafiose e a costituire strutture economico/aziendali gestite da uomini d’onore, direttamente o indirettamente (attraverso prestanome).

Per la Dia, la mafia trapanese si caratterizza per la forte capacità di infiltrare vari settori d’impresa attuando una gestione sempre più “manageriale degli interessi criminali”, tanto da poter essere considerata il vero laboratorio della “nuova mafia siciliana”, un sodalizio criminale che tende a darsi un volto rispettabile ed a dedicarsi compiutamente ai grandi affari, con la complicità di personaggi insospettabili.

Gravi e inquietanti, le riservate interlocuzioni tra esponenti mafiosi e amministratori locali, nonché le vicende corruttive che hanno interessato alcuni dirigenti della burocrazia regionale. Tutto ciò, a conferma di un legame “mafia-massoneria-politica” che rappresenta una delle principali peculiarità del malaffare nel territorio, fino a configurare all’interno delle logge massoniche occulte o deviate un vero e proprio “potere parallelo” in grado di inquinare l’attività amministrativa e la gestione della cosa pubblica, costituendo una temibile turbativa per le istituzioni e la collettività. In quest’ottica, la Dia ricorda in particolare l’operazione “Artemisia”, che nel marzo 2019, portò all’individuazione di una loggia massonica segreta con sede a Castelvetrano e all’esecuzione di 27 arresti per reati contro la pubblica amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia, nonché per associazione a delinquere segreta.

All’interno dei quattro mandamenti, si configura qualche lieve differenza: “le posizioni di vertice dei mandamenti di Trapani e Alcamo risultano stabilmente detenute da noti esponenti delle storiche famiglie mafiose con un sistema di successione quasi dinastico, mentre quella di Castelvetrano continua a fare riferimento al latitante Matteo Messina Denaro. Più dinamica appare la situazione del mandamento di Mazara del Vallo il cui rilievo negli equilibri di cosa nostra è tradizionalmente significativo avendo rappresentato, nel passato, una delle articolazioni mafiose più importanti per l’affermazione della leadership corleonese. In tale mandamento, infatti, come anche nell’ambito della dipendente famiglia di Marsala, la questione della reggenza sta attraversando una fase di transizione”. Dopo la morte per cause naturali di Vito Gondola, esponente di vertice del sodalizio mazarese, avvenuta nel luglio 2017, recenti operazioni hanno colpito numerosi soggetti ai vertici dell’organizzazione. Allo stato, tuttavia, non si evidenziano criticità che lascino ipotizzare un conflitto interno tra fazioni.

Nell’ambito generale della provincia, Matteo Messina Denaro, anche se latitante dal 1993 costituisce ancora la figura criminale più carismatica e il principale punto di riferimento per le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione, per dirimere e ricomporre controversie e per nominare i vertici delle diverse articolazioni della provincia, come confermato dal Procuratore Distrettuale Antimafia di Palermo, Francesco Lo Voi, il quale evidenzia come “… In provincia di Trapani, le indagini coordinate dalla DDA dal 1° luglio 2109 al 30 giugno 2020 hanno registrato ancora il potere mafioso saldamente nelle mani della famiglia Messina Denaro che, come è dimostrato da numerosi atti giudiziari oramai irrevocabili, vanta un elevato novero di suoi componenti che hanno ricoperto e ricoprono tutt’ora ruoli di assoluto rilievo all’interno dell’intera provincia mafiosa trapanese”.

Come evidenziato in passato, nonostante un generale sentimento di fedeltà, non manca qualche malumore di una parte degli affiliati nei confronti del boss, cui sottotraccia si addebita, come si legge nella relazione della Dia, “una gestione di comando troppo impegnata a curare una sempre più problematica latitanza e a fronteggiare la forte e costante pressione determinata dalle attività info-investigative finalizzate, in larga parte, a disarticolare l’ampia rete di protezione di cui il latitante gode da decenni”.

Come in altre realtà, anche nel trapanese diversi soggetti tornati in libertà dopo aver espiato la pena per associazione mafiosa, tendono a voler riprendere il loro “vecchio” ruolo all’interno dell’organizzazione criminale, come dimostra l’operazione Cutrara, conclusa il 16 giugno 2020 dai Carabinieri con l’arresto di 14 soggetti considerati affiliati alla famiglia di Castellammare del Golfo e avviata a seguito della scarcerazione di un boss del luogo.

Altro aspetto confermato dalle risultanze investigative è quello dei rapporti di collaborazione tra le famiglie, anche appartenenti a diversi mandamenti, come emerso, nella circostanza, per alcuni componenti della cosca trapanese che avevano ricercato l’appoggio di quella di Castellammare del Golfo.

In continuità con i precedenti semestri, la Dia segnala inoltre la persistente presenza e l’operatività nel territorio trapanese di piccole formazioni criminali autonome, attive soprattutto nella commissione di reati predatori, e quella dei sodalizi di matrice straniera, dediti, in particolare, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, al contrabbando di sigarette e allo spaccio “al minuto” di sostanze stupefacenti, generalmente tollerati da cosa nostra in ragione della loro marginalità.

In conclusione, la relazione della Dia tende a ritenere che, nel breve periodo, “la forte coesione delle compagini mafiose e la capacità di supportarsi reciprocamente per il raggiungimento di un interesse comune, escludano momenti di conflittualità anche per ciò che attiene alla spartizione del potere e delle competenze negli affari illeciti”.

Fa riflettere, infine, la chiosa conclusiva del documento, che sottolinea come “Cosa nostra trapanese continuerà a ricorrere alla corruzione e a reclutare manodopera negli strati meno abbienti, facendo leva sulle diseguaglianze socio-economiche e sulla difficoltà delle attività produttive del territorio”.

redazione

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