A quattro giorni dal referendum sul taglio dei parlamentari che chiamerà al voto gli italiani domenica 20 e lunedì 21 settembre, continuiamo ad approfondire le diverse posizioni che stanno animando il dibattito politico. Dopo aver raccolto le motivazioni del Sì, esposte dal sindaco di Petrosino Gaspare Giacalone (componente della direzione nazionale dei democratici), registriamo oggi quelle del No, restando però sempre in casa Pd. In queste ore, oltre alla presidente dell’assemblea provinciale Valentina Villabuona, anche altri dirigenti si sono esposti pubblicamente per il No. Tra questi anche Gianluca Nuccio, componente della direzione provinciale e tra i promotori del comitato Democratici per il No.
Partiamo dalla più diretta delle domande: perchè No?
Le ragioni sono varie. Anzitutto ne faccio una questione di metodo. Qui non siamo di fronte a una riforma costituzionale, ma a una modifica costituzionale. Per chi proviene da una certa cultura politica e giuridica, una riforma è ben altro. Siamo di fronte a un taglio lineare che crea soltanto problemi, non risolve nulla e soprattutto non incide sulla necessità di ripensamento del parlamentarismo che invece era oggetto del tentativo di riforma del 2016. In quel caso votai sì.
E per quanto riguarda le ragioni di merito?
Sono varie. Contrariamente a quanto sbandierato da molti, non ci saranno benefici in termini di risparmio di spesa, che è stato quantificato in un caffè l’anno per ogni cittadino. E poi si dovrebbe pensare che le voci di spesa non riguardano solo le indennità dei parlamentari, ma anche quelle dei consiglieri e degli assistenti parlamentari. Un’altra ragione è che non si guadagna in efficienza, specie se non si agisce sui regolamenti parlamentari e la composizione delle commissioni. Tra le ricadute sistemiche c’è anche quella riguardante l’elezione del Presidente della Repubblica, in cui il peso specifico dei delegati regionali o dei senatori a vita diventerebbe maggiore. Poi c’è il problema della rappresentanza: i sostenitori del sì sostengono che sia un aspetto sopravvalutato, in quanto gli eletti già non sono realmente rappresentativi dei territori. Ma questa modifica darebbe un ulteriore colpo a una crisi già in atto: rendendo ancora più ampi i collegi elettorali aggraverebbe il problema e per gli eletti sarebbe ancora più difficile rendersi portatori di interessi di territori che non conoscono. Gli effetti peggiori di ciò si vedrebbero al Sud, dove c’è una minore densità di popolazione, mentre i piccoli centri sarebbero penalizzati rispetto ai grandi.
Il suo partito ha però annunciato di voler votare Sì. Non c’è il rischio che una vittoria del No contribuisca alla caduta della maggioranza?
Io sono per slegare la questione della tenuta della maggioranza dal voto per il referendum. Le cronache giornalistiche più recenti parlano di una destra che, sebbene formalmente schierata per il Sì, pare stia cominciando a valutare la possibilità (in maniera più o meno esplicita, vedasi Giorgetti) di spostarsi sul No con l’obiettivo di dare una spallata al Governo. Ad ogni modo, la tenuta dei principi costituzionali è più importante della tenuta della maggioranza.
La sensazione è però che solo pochi italiani siano realmente informati sul quesito referendario. Il rischio è che, mancando il quorum, in pochi decidano per tutti, magari senza la necessaria consapevolezza. Come si può gestire quest’aspetto?
Ritengo che l’election day sia stato un errore, perchè ha accorpato votazioni che hanno esigenze diverse tra loro, non facendo un buon servizio al referendum, ma neanche alla campagna elettorale per le amministrative o le regionali. Si sta agevolando un’informazione per slogan che lascia il tempo che trova, figlia di una cultura politica che di fronte a problemi complessi propone soluzioni semplici laddove servirebbero, invece, soluzioni complesse.
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Un grande SÌ per ridare autorevolezza ed efficienza al Parlamento nel suo complesso e a Deputati e Senatori.
L’Italia voti SÌ, l’intendenza (le RIFORME) SEGUIRÀ