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Il ricordo degli allievi marsalesi: “Michele Perriera, un maestro di rigore”

Raccontare il Michele Perriera marsalese significa, naturalmente, ricordarlo attraverso le parole dei suoi allievi, che tra il 1996 e il 2005 hanno frequentato i corsi della sua scuola. Pur consapevoli della difficoltà a rintracciarli tutti in poco tempo, abbiamo comunque voluto contattarne una buona rappresentanza, ottenendo grande disponibilità. Alcuni di loro hanno fatto del teatro la propria vita, calcando negli anni a venire palcoscenici prestigiosi o partecipando a prestigiose produzioni televisive e cinematografiche. Altri sono rimasti a Marsala, dando un prezioso contributo all’offerta culturale della propria città e cercando di trasmettere ai più giovani le proprie conoscenze. Ma c’è anche chi ha vissuto il teatro come una parentesi, comunque importante, in un percorso di vita che lo ha portato altrove. Per ognuno di loro l’incontro con Michele Perriera ha comunque rappresentato una tappa importante della propria formazione umana, come emerge chiaramente dalle parole che hanno scelto per ricordarlo.

Alessio Piazza: Ho frequentato il “Teatro Scuola” di Marsala diretto da Michele Perriera nel biennio 1996/1998. Da allievo ho incontrato un maestro che mi ha insegnato il rigore etico e morale. Ho lavorato in tre spettacoli diretti da Michele Perriera ( “ I Pavoni”, “ Dietro la rosata foschia”, “I Cenci”) e da attore ho goduto della sua visione onirica della scena. Un incontro speciale che custodisco come un tesoro prezioso.

Massimo Graffeo: Incontrai Michele Perriera la prima volta ai provini per accedere alla scuola di teatro del comune di Marsala nel 1997 credo che l’anno sia giusto, entrai a teatro comunale per fare il provino, fuori c’erano tantissime persone, mi presentai e quell’uomo seduto dietro la scrivania mi guardava da dietro i suoi occhiali da sole, pensai fosse strano che indossasse gli occhiali da sole al chiuso, solo successivamente avrei capito il perché. Fui ammesso alla scuola ed è li che inizio il viaggio, i miei studi, avrei scoperto cose del teatro che sconoscevo, per due anni come allievo attore e altri due come allievo regista Michele fu il mio maestro e grazie ai suoi insegnamenti oggi ho una visione del fare teatro credo più completa e intima anche se non si finisce mai di imparare e scoprire. Sono stati anni intensi, di formazione culturale e personale, di episodi vissuti con il mio maestro Michele potrei raccontare tantissimo non basterebbe una pagina, ricordo il suo sorriso la sua ironia la sua meravigliosa passione la sua tenacia e severità , la sua immensa cultura mi affascinava e spronava, ricordo tanto, gli ho voluto bene e a volte con affetto dico che l’ho odiato…Un giorno durante le prove dei monologhi d’autore per un saggio finale io stavo preparando dei brani tratti da Amleto di Shakespeare, Michele mi prese sotto braccio e mi disse: “ Mio caro Amleto, tu sei un attore di grandissimo talento, ma sei povero e per questo avrai tantissime difficoltà, fare l’attore è un mestiere per ricchi” Mi guardava sorridente e affettuoso, non lo dimenticherò mai. Grazie Michele ovunque tu sia, un giorno probabilmente ci rincontreremo….

Marinella Casubolo: Non si rimaneva indifferenti davanti a Michele, allo sguardo che, prima di vedere i suoi occhi, intuivi dietro le lenti scure. Non si rimaneva indifferenti di fronte ai suoi silenzi e alle sue parole sempre “non troppe”, alla sua quasi immobilità, alla dolce severità della sua figura.
La sua presenza riempiva totalmente lo spazio intorno ed era come se annullasse tutte le altre e le avvolgesse, al tempo stesso, in un unico, grande abbraccio. Credo l’amassimo tutti profondamente, noi allievi, anche se lo conoscevamo da poco, l’amavamo e lo temevamo come un padre. Ascoltavamo i suoi giudizi e i suoi consigli, seguivamo le sue indicazioni con attenzione e una sorta di devozione, non da fanatici ed esaltati ma da studenti ammaliati dal carisma del Maestro, dalla placida passione che lo animava e dall’amore profondo che nutriva per il suo Teatro. Non sfuggiva nulla a Michele, era severissimo nella cura di ogni dettaglio durante i laboratori, le prove, le messe in scena. I suoi occhi, affetti da una particolare forma di strabismo, scrutavano tutto con attenzione e li sentivi penetrarti e leggerti dentro con una curiosità inflessibile, totale ma fortemente amorevole. Una volta, divertendosi a fare il chiromante, mi disse: “Noi due ci somigliamo molto”, l’ho considerato il migliore complimento che potesse farmi.

Giovanna Alagna: Maestro, nel tragitto insieme si incontravano e reciprocamente attingevano la passione per la ricerca psicologica umana e la possibilità di mettere in scena e rappresentare emozioni, non detti, paure, fantasie che trovavano spazio e luogo per esistere. Esistere per accogliere e trasformare o semplicemente per non rimanere mostri incomprensibili e in solitudine. Oggi sono una psicoterapeuta psicodrammatista. La cantina della ‘Stanza’ di Pinter, il passato, l’inconscio hanno modo di trovare un luogo di espressione e nulla risuona come veramente assurdo. Continuo a creare lo spazio teatro per far vivere i diversi colori della straordinaria inafferabile meravigliosa esperienza-vita e a dar voce a nuovi progetti e sogni in gruppi clinici ed espressivi diversificati. Grazie caro Michele.

Claudia Gusmano: Avevo 18 anni, era il mio ultimo anno di liceo. Mi ricordo ancora una lezione con lui dove mi chiese di che segno zodiacale fossi, avevo risposto Leone e da quel momento mi chiamó leoncina per tutti i due mesi che frequentai la scuola. Poi ho scelto altro per me ed ho lasciato la scuola dopo poco. Era una persona silenziosa, calamitica, intoccabile. L’esperienza con lui mi ha dato il coraggio di provare ad andare a studiare recitazione fuori Marsala. Mi ha spinta a cercare la scomodità e ad apprezzarla. Era un uomo che sapeva di indipendenza e profondità. Sono contenta di averlo incontrato.

Adriana Parrinello: Michele Perriera mi ha insegnato la disciplina, il rispetto. Ad essere seria …nella follia! Mi ha fatto amare il teatro e, soprattutto, me stessa. È stato il vento leggero che ha allontanato la nebbia dai miei pensieri! Ed io lo ricorderò sempre con infinita stima e gratitudine…!Uomo di infinita gentilezza e sublime intelligenza.

Luana Rondinelli: È un ricordo vivo, indelebile, è stato il mio Maestro il mio papà artistico. Ha creduto in me sin da subito, è grazie a lui se ancora oggi credo in questa mirabile arte. Mi ha insegnato ad amare il teatro mi ha insegnato che il teatro è impegno, rigore, follia. Ai tempi della scuola di lui si aveva timore ma tra noi c’era un’empatia fuori dal comune.

Marcella Favilla: Ho tanti ricordi che riguardano Michele Perriera, belli ma anche brutti perché era un uomo che non aveva paura di dire le cose in faccia. Poteva anche essere duro a volte, soprattutto se ad ascoltare c’era una giovane diciassettenne piena di aspettative e anche sicurezze. Sicurezze che riusciva a smontare per metterti in discussione, per farti crescere, per motivarti, per farti superare i limiti. E a tal proposito voglio solo riportare una frase che mi disse durante uno dei pochi colloqui privati che ho avuto il privilegio di avere con lui. “Marcella tu sei brava! Ma devi andartene da qui… Altrimenti rimarrai una brava a livello regionale e la regione a te sta troppo stretta! Fidati di uno strabico che guarda il mondo mentre gli altri guardano il mio occhio sbilenco!” Ho seguito il suo consiglio, ho abbandonato la sua scuola ma non ho mai dimenticato quello sguardo “sbilenco” su di me! Grazie Michele!.

Federica Pellegrino: Come i primi baci degli innamorati, il primo maestro non si scorda mai. Irrompe nella tua esistenza e ti fa crescere più di quello che la tua età anagrafica richiederebbe. Entrava nella stanza con la sua immancabile sciarpa rossa, il cappello e il suo mantello nero. Una presenza magnetica e a tratti aliena verso cui tutti noi provavamo timore e ammirazione al contempo. Un corpo tremante e potente che conteneva una mente intellettuale finissima. Grazie a lui ho scoperto cosa fosse la magia. La sua voce che pronuncia “questa è una scena allampaviddrano!” ha scritto una delle pagine di storia culturale marsalese più degna di essere ricordata.

Andrea Scaturro: Il mio rapporto con Michele Perriera si è sviluppato nell’arco di appena due anni. Iniziammo col piede sbagliato. Nonostante ai primi tempi della scuola di teatro credessi di fare le cose al meglio, ero costantemente braccato da un fantasma; anzi: dall’assenza di un fantasma, come avrebbe preferito dire. Mancava il personaggio, il convitato di pietra. Erano guai. Il timore che Michele incuteva, seduto in disparte in platea, era pari solo all’irresistibile desiderio di saltare nel vuoto, sfidando il suo giudizio severo e illuminante. Michele è stato un maestro che, obbligandoti (o fascinandoti?) al rigore del metodo e alla profondità del pensiero, ti rendeva infine consapevole di quanto splendida e dolorosa sia la libertà di disseppellire, dalla vita propriamente detta, tutte le altre vite.

Fabrizio Lombardo: Perriera è stato per molti di noi il primo contatto con quello che poi sarebbe stato il nostro mondo, anche fuori dai confini regionali. Io ero adolescente e poi sono venute tante altre avventure ma conservo un bel ricordo di quel biennio. Abbiamo avuto i nostri momenti di amore e di scontro (i suoi preferiti). Un grande uomo di teatro e cultura.

Flavio Prestigio: Michele e la sua scuola furono per me l’approdo a una visione non provinciale, non solo del teatro ma della vita. Per me fu l’uomo dello stupore e del rigore al contempo. Fare teatro con Michele significava entrare in una dimensione magica che mi permetteva di dialogare quotidianamente con la mia anima mettendo a nudo dubbi, incertezze e dissidi interiori che mi aiutarono a diventare sì un attore, ma soprattutto un uomo. Approdai poi al professionismo teatrale grazie al suo coinvolgimento in due tournée per rassegne tenute da Mario Prosperi e Giorgio Barberio Corsetti. Non dimenticherò mai i suoi insegnamenti, di molti dei quali ho fatto linee guida del vivere la vita. Tra questi: “L’autoironia è una delle chiavi del vivere la vita. Non bisogna mai prendersi troppo sul serio”; “non arrovellarti se ti senti un tormentato; quelli come noi restano tormentati tutta la vita. Impara a convivere con i tuoi turbamenti”; “anche se non farai l’attore, grazie al teatro sarai una persona migliore”. Lo incontrai l’ultima volta alla Feltrinelli di Palermo per la presentazione di un suo libro. Non ero diventato attore e temevo in un suo rimprovero visto che la sera del mio saggio mi disse tante volte “non sprecare il tuo talento”. Mi abbracció e mi disse “che bel regalo che mi hai fatto”. Pensai la stessa cosa, ma io non mi riferivo all’abbraccio. Mi riferivo a tutto.

Marco Morana: Quando muore un maestro è come se morisse una parte di te. Non sei stato solo tu a rubare qualcosa a lui. È anche lui che si è preso qualcosa di tuo. Quello che eri prima di incontrarlo; quello che saresti stato se non lo avessi incontrato. Michele mi guidava con rigorosa curiosità. Mi insegnava che per rispettarmi dovevo avere cura della mia ispirazione; che la parola “rigore” può essere limitante se non si trova un proprio modo di essere rigorosi. Per lasciarsi guidare da Michele ci voleva un’attitudine radicale. Richiedeva un coraggio che definirei ieratico. Coraggio di guardarsi dentro senza pietà, di scandagliare “il mistero di noi stessi”, come amava ripetere. La parola “mistero” abitava sempre le sue lezioni. Michele mi invitata a esplorare ciò che mi sembrava oscuro. Come il protagonista viaggiatore del suo testo Qui è quasi giorno, che alla fine abbraccia il suo approdo incomprensibile e inaspettato. Michele insegnava il teatro blandendo la vita. E se un maestro fa questo, un maestro non può morire. O forse un maestro muore tante volte. Ogni volta che ti allontani dai suoi insegnamenti, ogni volta che li elabori e li fai tuoi, il maestro brucia e si rigenera. La sua morte è una rinascita perpetua; e tu cresci grazie alle sue ceneri. Un maestro è il genitore che ti saresti scelto se avessi potuto, ed è senza dubbio il più ingombrante; il genitore della consapevolezza. Il maestro occupa il tuo sguardo in maniera totalitaria e per questo può renderti cieco. Ma solo correndo il rischio di perdere la vista imparerai a distaccarti da lui.

redazione

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