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La poesia e la sua funzione sociale: 40 autori a confronto in un’opera curata da Nicolò Mineo

In tempi di quarantena Covid-19, la casa editrice Prova d’Autore (CT) lancia la singolare prova di pubblicare “quaranta” pareri su quel che s’intende con il pronunciare la parola” Poesia”. Il libro data maggio 2020, e vola con le ali di Avalovara (la fabulosa aquila – alato composto da un insieme armonico di tanti piccoli alati – scoperta, come si legge in seconda di copertina, dallo scrittore brasiliano Osmas da Costa Lins).

Curatore dell’opera è il dantista prof. Nicolò Mineo (che insieme è anche l’autore del saggio introduttivo). Nel frammezzo dell’opera oltre al proprio contributo sul tema Poesia, un saggio di Antonino Contiliano in onore di Dante a 700 anni dalla morte (Giuseppe Conte invece gli fa omaggio di un testo poetico sintonizzato). Un libro – si legge nella scheda di presentazione – «indispensabile per chi scrive versi, per chi spiega la poesia, per chi ha piacere di ricavare informazioni accessibili e luminose dalle 40 lezioni di poeti, critici e italianisti docenti di Storia della letteratura italiana nelle Università».

I loro nomi: Sebastiano Aglieco, Marcella Argento, Franco Arminio, Salvatore Bommarito, Maria Bucolo, Maurizio Cairone, Giuseppe Conte, Antonino Contiliano, Silvia Costanzi, Ombretta Di Bella, Grazia Dormiente, Alessandra Ferrara, Emanuele Fiore, Francesco Foti, Aldo Gerbino, Giovanni Giuga, Renata Governali, Mario Grasso, Stefano Gresta, Marina Guerrisi, Gilberto Isella, Stefano Lanuzza, Anna La Rosa, Antonio Leotta, Marisa Liseo, Aurora Lombardo, Massimiliano Magnano, Valerio Magrelli, Rosa Maiolo, Fabiola Marsana, Angelo Maugeri, Nicolò Mineo, Lorenzo Morandotti, Francesco Nicolosi Fazio, Domenico Pisana, Silvio Ramat, Giuseppe Raniolo, Laura Rizzo, Mario Rondi, Giulia Sottile. I loro contributi, tutti diversi, condividono il tema poesia, come il comune denominatore.

Rimandando il lettore ai singolari testi degli altri autori, ora alcuni stralci su “Col dire Poesia…”:

«La poesia lavora a un accrescimento di vitalità. Si serve della memoria e dell’immaginazione per preservare il passato e prefigurare il futuro. Memoria e immaginazione sono la trama e l’ordito della sua “textura” intimamente intrisa di “percezione del tempo” e “ragione di vita”. […] La poesia può nascere da un clic improvviso: un gesto, una pulsione interiore, una meraviglia, un orrore, un dolore; […] L’occhio registra e cerca nella cangiante mobilità del “paesaggio” quasi una metafisica della Storia […] L’osservazione del “contesto” […] supera ogni soluzione tributaria del sociale e del politico […] ma rende circospetto il rapporto con il “potere”. […] Qual è la voce che si mette a “dire” quando il poeta si risolve a prendere la parola?. […] La parola della poesia tende ad assecondare un’armonia dissonante, straniante […]» (Angelo Maugeri);

«La poesia […] è come Saturno, un pianeta di gas, […], una fornace nucleare […] Mondo sospeso e mondo non convenzionale (ovvero ciò che non è solo estetico […] Tanti gli interrogativi spinosi che da sempre l’accompagnano. Non meno pungenti le sue azioni e gli effetti emergenti. Alcuni (latitudini e condizioni locali e globali diverse) gli devono la vita, altri la morte, altri il carcere, altri altre gravità e semi virali. […] Né è pensabile che la poesia di Dante, o di Sanguineti abbia parola fuori il tempo, i fini e la storia complessiva dei suoi autori. […] Non può però sostenere il potere-sapere (laico, religioso o di altra tinta…) del dominio, nonché essere ossequiosa di regimi che soggiogano, sfruttano, la incarcerano come irriverente o blasfema.)» (Antonino Contiliano);

«Il “dire poesia” non può acriticamente accogliere il dominio del profondo in opposizione all’idea di superficie intesa – in modo erroneo – minoritaria. […] “strano pregiudizio – avverte Gilles Deleuze – quello “che valorizza ciecamente la profondità a scapito della superficie, pretendendo che superficiale significhi non già di vaste dimensioni, bensì di poca profondità, mentre profondo significa di grande profondità e non di superficie ristretta”. […]» (Aldo Gerbino);

«Poesia è … Poesia è le migliaia di poesie che ho letto, è le centinaia che ho imparato a memoria […] Il corpo della poesia. Quanti inchiostri versati intorno a questa misteriosa fisicità del testo! […] il secolo XX ha conosciuto una fioritura di disamine specialistiche intese a radiografare e quasi palpeggiare l’oggetto-poesia nelle sue minime articolazioni. Formalismo e strutturalismo. […] Nelo Risi […] “la poesia è verità /intuita con ritmo” […] nella mia vita ho avuto il privilegio di incontrare un paio di poeti […] Perché davvero io non lo so, in che cosa consiste la poesia» (Silvio Ramat);

«Parafrasando Dante, matto è chi spera che nostra ragione possa percorrere l’infinita via del Poiein, comprendere l’arcano e la multiforme sostanza (e accidenti) della Poesia. […] D’altronde anche nei piani superiori la vista appare alquanto offuscata. Fino a ieri ci eravamo dannati per seguire il percorso del Galateo in bosco dell’ultimo Zanzotto […. La poesia come medicamento dai malanni della vita, secondo la riflessione di Donatella Bisutti che di Mario Grasso fornisce come uno dei punti di partenza (o di arrivo) della navigazione più aleatoria? Anche la poesia meglio del Prozac? […]» (Giovanni Giuga);

«Come tutte le adolescenti di un tempo mi sono nutrita di poesia, con i versi di Garcia Lorca che sapeva esprimere il mio pensiero e il mio sentire su come doveva essere l’amore, allora solo immaginato e vagheggiato; con quelli di Pavese davo corpo alle mie inquietudini e al mio dolore dell’esistenza. […] A me pare, al di là di tutte le definizioni, che la poesia possieda una specifica dimensione temporale immediata come un fulmine; […] fatica la poesia a trovare una collocazione in questa epoca in cui il rapporto col tempo ma anche con lo spazio è vilipeso, appiattito, […] in una brevità non significativa che non possiede alcuna profondità semantica. […]» (Renata Governali); .

Ora, per gli interventi dedicati a Dante, qualche passaggio dal testo di Giuseppe Conte e di Antonino Contiliano.

«Dante, aiutaci, siamo in un inferno / di mostri, demoni, dure agonie, /crudele è stato quest’ultimo inverno. // Libera dalle loro prigionie / le anime, mostraci il paradiso / […] / c’è la gloria di luce del creato. / Tu maestro, guerriero, viaggiatore, / tu Fedele d’Amore, innamorato.» (Giuseppe Conte).

«Volendo individuare la geometria sferica di Dante, usata ne “La Divina Commedia” – cono, l’Inferno, rotondità di una montagna, il Purgatorio, cerchi concentrici, il Paradiso – euclidea –, non è certo perché è possibile considerare il poeta fiorentino come un precursore delle nuove geometrie non euclidee, delle pseudosfere, o dell’ipersfera di Bernard Riemann. Dante non è stato di sicuro un anticipatore della crisi della verità del V postulato delle parallele di Euclide (geometria piana e causalità lineare); […] Alla figura delle curve euclidee della geometria poetica dantesca è possibile, allora, affidare, crediamo, oltre che una funzione intuitivo-iconizzante (come linee e superfici) […] superfici unidimensionali, bidimensionali, tridimensionali, quadrimensionali… che l’astrazione matematica è stata in grado finora di immaginare, pur se non sempre con rispondenza nel mondo fisico). […] Il principio iconico, in una concezione visiva e spazializzata della realtà, scriveva il semiotico Jurij Lotman nel 1967 – tesi sul­l’«arte come sistema secondario di modellizzazione» (3) –, riorganizzando l’intuizione semiologica (anni venti sovietici) di Jurij Tynjanov e Osip Brik, è alla base del si­stema conoscitivo, mentre il modello n’è un linguaggio di secondo ordine). […] Ora, passando dal canto XXVIII (versi 13-18 e 25-29) del Paradiso ai versi del canto XXXIII (1,133-134, 138, 142), dove Dante, grazie a un rapporto di equivalenza logica, affronta il problema dell’identità della “Trinità” divina, è possibile vedere, e intellegibilmente intuire, come la poesia non sia possibile senza la discorsività del rigore logico, la coerenza con cui si porta avanti la spiegazione del rapporto di equivalenza fra le tre persone (“Trinità”). Ci si trova davanti, infatti, al rigore e alla coerenza della logica della generalizzazione simmetrica, o della logicità biunivoca (il tertium datur che dà soluzione ai problemi paradossali); cosa che, in entrambi i casi, rompe con l’opposizione dicotomica fra gli elementi di una parte e quelli del tutto, del finito e dell’infinito. In questo tipo di universo del discorso, dove domina la regola delle equazioni e delle equivalenze, le gerarchie, le asimmetrie e le differenze, grazie alla generalizzazione simmetrica transitiva e autoriflessiva si trasformano infatti in vere identità paradossali (nonostante la paradossalità fosse stata vietata dalla logica classica).» (Antonino Contiliano, Come funzione iconica e matrice, la geometria sferica nel “Paradiso” di Dante).

Per concludere, e condividendo con l’autore il suo richiamo a François-Marie Arouet – «nella matematica della natura c’è sempre tanta ricchezza d’immaginazione quanto nella poesia, e che Archimede ebbe altrettanta quanto Dante e Leopardi» – e al filosofo della scienza e leopardista Gaspare Polizzi – «Alla cosmicità solare di Dante si contrappone quella lunare di Leopardi» –, si può dire che le cose non stanno con la loro immobile identità nel tempo e nella storia; ma il tempo e la storia operano in essi. Appartengono – come continua a scrivere il nostro autore al tempo – al tempo che li ha prodotti e al tempo che li legge, come un consumatore e produttore di conoscenze e di denkexperiment.

Questo libro – “Col dire Poesia…” –, in questo frangente di pandemia e quarantena, altrimenti detto è di una utilità politico-culturale estrema e di inoppugnabile attualità. Perché scrivere sulla poesia è come un acceleratore di coscienza, di pensiero e di comprensione dell’universo che siamo e abitiamo, mentre ci/si racconta e argomenta sulle cose per recuperare la funzione sociale e rivoluzionaria della poesia stessa, e al tempo stesso riconoscerne potenza e misura intellettuale.

Giacomo Cuttone

redazione

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