Un inedito reportage di quotidianità ed emozioni. Un racconto di vite comuni eppure straordinarie, vite sospese e febbrili, tutte in attesa di riprendere in mano la propria realtà. Chi vive a Salemi, antico borgo arabo medioevale di 10000 anime, racconta di strade deserte e più che mai silenziose, di atmosfere sconosciute e taciturne e di ore infinite, di posti di blocco di carabinieri e vigili urbani. Grazie alla collaborazione di alcuni volenterosi salemitani siamo riusciti a ricostruire un breve spaccato di quotidianità. C’è chi ha voglia di raccontare le proprie emozioni e chi preferisce trincerarsi dietro un rispettoso silenzio. C’è chi ammette di provare così tante rapide dirompenti emozioni da non riuscire a metterle in fila, una dietro l’altro e dargli voce e c’è chi preferisce tenere a bada un’irruenza tanto passionale e sconvolgente da non essere ancora pronto a decodificarla. L’unica cosa certa è che si tratta di qualcosa di mai visto e provato prima. Qualcosa che tutti tentiamo di conoscere e domare. Eppure, la vita scorre e il primo cittadino, Domenico Venuti, sebbene fra mille difficoltà ammette che qualcosa si muove: “Da due settimane siamo stati dichiarati ‘zona rossa’ dalla Regione Siciliana e questo ha portato a un maggiore grado di attenzione sulla nostra realtà. Abbiamo vissuto una fase di avvio complicata da gestire, tra varchi d’accesso e limitazioni straordinarie, ma adesso la situazione a livello logistico sta migliorando. Abbiamo mediato tra le misure stringenti imposte dall’ordinanza regionale e le legittime esigenze di chi, come allevatori e agricoltori, chiedeva di non abbandonare le proprie attività. Stiamo affrontando questa situazione e combattendo giorno dopo giorno per ridurre al massimo i disagi per i cittadini, anche grazie allo straordinario lavoro dei volontari della Protezione civile comunale e del Goe. Sul fronte della lotta al virus credo che i cittadini salemitani abbiano compreso pienamente l’assoluta necessità di restare a casa: è l’unico modo che abbiamo per potere uscire da questa situazione e con il minor danno possibile. Non mi stancherò mai di ripetere che non dobbiamo abbassare la guardia. C’è poi la lotta alla povertà causata dall’emergenza: siamo riusciti a far fronte alle prime necessità delle famiglie con dei buoni spesa realizzati grazie a risorse comunali e adesso siamo passati alle risorse stanziate dal governo nazionale. E’ importante intervenire subito perchè molte famiglie che non conoscevano la povertà ora si trovano in situazione di disagio. Stiamo lavorando al massimo affinchè nessuno resti solo”.
C’è anche chi si è presa una pausa dal proprio lavoro e si è accorta di quanto fosse bella la “sua prima vita”, come Antonella T. insegnante di liceo che spera nella rinascita e confida nella solidarietà: “Sembra incredibile! Io personalmente non esco dal quattro marzo e sono certa di quanto lento e difficile sarà ritornare a calpestare la nostra terra, percorrer senza paura le vie del nostro paese. Ma sarà una rinascita per tutti noi: ci guarderemo con occhi diversi Quel giorno, se faremo ognuno il nostro dovere, arriverà presto. Solo oggi mi rendo conto di quanto amo il mio paese. Mi manca tutto. È un momento difficile per tutti noi. Un momento in cui siamo messi alla prova non solo individualmente ma anche come comunità. È un momento difficile ma è anche il momento delle azioni responsabili e consapevoli. È il momento della solidarietà. È momento di mostrare fiducia nelle istituzioni. Mi fido molto delle azioni restrittive intraprese dal nostro sindaco. Solo insieme, mettendo da parte le paure per rimanere lucidi e razionali possiamo vincere. Sarà una rinascita per il nostro paese. È il momento della riflessione, è ora di compiere gesti d’amore verso il nostro paese.
La testimonianza accorata di Marcella, un’altra insegnante che ci guida verso la difficoltà della didattica a distanza e delinea un’istantanea di vita familiare e domestica scoprendosi brava nel fare il pane ma che non tralascia di rammentare le proprie emozioni: Mi ero illusa che l’inizio della quarantena fosse soltanto una lunga pausa scolastica e che avrei potuto continuare ad uscire per far la spesa o camminare in campagna magari anche senza le amiche come ero abituata a fare. Purtroppo questa illusione si è rivelata di breve durata perché presto mi sono resa conto che questa costrizione in casa era assolutamente necessaria. E necessaria ancora di più avendo un marito immunodepresso. Poco per volta, e col passare delle settimane rimanendo chiusi un appartamento per le intere 24 ore, ho addirittura avvertito un’insofferenza tale da percepire un senso di asfissia e costrizione al petto, un vero e proprio malessere fisico. Ho scandito la mia giornata fra impegni scolastici in piattaforma, appuntamenti in Skype con gli alunni ma ho scoperto forse un unico lato positivo. Ho trovato il tempo per impastare e realizzare un ottimo pane fatto in casa con del lievito Madre, proprio come facevano i nonni. Si penserebbe che le giornate trascorrano tranquille nella serenità familiare ma ci ha pensato la DAD (didattica a distanza ndr) a creare il caos mattutino se, a doversi collegare online sono, oltre a mamma e papà, 4 figli adolescenti perché non mancano solo i dispositivi elettronici ma talvolta anche le stanze dove ognuno possa lavorare e studiare nel rispetto della privacy. Spero finisca presto e ognuno di noi possa tornare a vivere quel tempo che sembra essersi fermato e che ci sta togliendo una parte della nostra vita.
E poi c’è Agostino,43 anni, lavoratore stagionale, “casalingo” suo malgrado e “costretto” a fare le veci della moglie commessa in un supermercato. Lui pulisce casa, accudisce i 2 figli e ha scoperto di saper cucinare.
Vivo un tempo dilatato. I primi giorni mi sentivo spaesato in una casa, la mia casa che in realtà non conoscevo affatto. Ho capito finalmente dove sono conservati i calzini e poi quando ho finito di sistemare anche i cassetti più nascosti, non mi è rimasto più niente da fare. Così ho iniziato a cucinare e ogni giorno metto a tavola pietanze ricche per accontentare tutti e per me è un modo per passare il tempo dalla mattina alla sera. Dalla finestra della cucina non vedo passare un’anima che sia viva. Solo tante rondinelle nel cielo e tante lucertole fra l’erba del mio marciapiede. Loro hanno capito che è Primavera, la sentono e non sanno niente del coronavirus. I miei figli però l’hanno capito e vorrebbero uscire ma non si può. Ho fin troppo tempo per pensare. I miei figli non chiedono più tanto spesso perché ci sono io al posto della mamma con loro a casa.
Maria, invece continua a lavorare. Esce da casa ma quel vede fuori, le rimanda immagini desolate, senza redenzione: Quello che stiamo vivendo è un momento di grande trasformazione delle dinamiche sociali, che parte innanzitutto dalle mura di casa, uno spazio, adesso l’unico, in cui abitudini e caratteri si incontrano e scontrano per tutto il giorno, per chissà quanti giorni ancora. Non saprei dirvi se essere impiegata in un negozio “di beni primari” possa essere una fortuna o una sfortuna in questo momento; la fortuna di uscire per poche ore da quelle quattro mura dove oggi appaiono ai nostri occhi come “una prigione” o la sfortuna di vedere con i propri occhi quel mondo esterno così cambiato, così freddo, così disumano e provare un senso di terrificante impotenza a ciò che sta rendendo la realtà invivibile. Si torna a casa e si ha tanto tempo da dedicare a se stessi e alle relazioni con le persone con cui conviviamo, quelle che abbiamo sempre avuto vicine ma così vicine mai.
C’è chi vorrebbe fuggire da tutto questo inaspettato tempo libero e fa fatica a riempirlo di “cose”, di impegni e di attività ma c’è anche chi lo impiega al servizio della comunità. L’Azienda Tessile Monticciolo, ad esempio, ha realizzato 3000 mascherine riutilizzabili e le ha distribuite gratuitamente. Un gesto di solidarietà che accende qualche speranza.
Ventidue positivi al coronavirus non sono pochi per una cittadina come Salemi. Forse ci siamo illusi fin da subito che saremmo tornati presto alla “nostra” vita di sempre, alle nostre abitudini, alla nostra consolidata routine di cui forse eravamo stanchi e che adesso, dopo appena un mese di “reclusione”, ci sembra il migliore dei mondi possibili, un Eden da cui prima volevamo fuggire via senza accorgerci di essere liberi. Ci sentivamo in gabbia, prigionieri di una quotidianità a ritmi troppo scanditi, troppo organizzati, senza conoscere cosa fosse la vera prigione.
Tiziana Sferruggia
Visualizza commenti
Mi sembra un po esagerato questo articolo, e comunque l' intervista non la si deve fare solo a chi sta bene economicamente, va fatta anche a chi in questi giorni, non riesce ad andare avanti economicamente, con serissime difficoltà, e anche a chi ha un' attività commerciale (la sua vita) chiusa.
Per di più dimenticando chi giorno dopo giorno protegge e aiuta i cittadini in un modo o nell' altro, come ad esempio il "Gruppo Protezione civile comunale", gli "Agenti della Polizia Municipale", i "Carabinieri", la "Forestale", gli "Operatori Ecologici" sempre in servizio ecc...
E non, fare apparire una città in Zona Rossa come una cosa buona e rilassante per tutti] A mio parere, articolo inutile e fuori luogo.