Uno sfogo durissimo, senza sconti, senza alcuna concessione alla speranza. In un clima blindato, emergenziale, come questo, la testimonianza di un giovane ed attivo armatore mazarese, Costantino Giacalone, suona come un campanello d’allarme. Raggiunto telefonicamente, ha delineato un quadro realistico di quanto sta accadendo a Mazara, città un tempo famosa per essere la prima flotta marittima italiana. La già compromessa situazione della marineria mazarese sta infatti subendo gli ulteriori contraccolpi proprio da quel nemico invisibile che da qualche mese domina le nostre vite. Il coronavirus ha imposto la chiusura di ristoranti e pub e così, anche la filiera del pesce e dell’apprezzato Gambero Rosso di Mazara, sta scivolando ancora di più nell’annosa crisi in cui si trascina da anni.
«La “bufera” si è scatenata mentre eravamo al largo, impegnati nella pesca d’altura e l’equipaggio aveva già iniziato a lavorare il gambero rosso. I commercianti ci hanno comunicato da terra che avrebbero ricevuto le cassette piene di Gambero Rosso, di scampi e di altri crostacei, ma solo per stiparle all’interno delle loro celle frigorifere e per conservarcele. Naturalmente non ci avrebbero pagato il prodotto. E in effetti a chi avrebbero dovuto venderlo se nel frattempo tutti i ristoranti nazionali erano stati chiusi? Noi ci ritroviamo con un prodotto ottimo, di qualità, che ci avrebbe fruttato la nostra sopravvivenza ed invece siamo sulla soglia del baratro». E se sembra esagerato un simile esempio, l’armatore mazarese, prontamente fa notare che quando l’emergenza finirà, il commerciante con le celle frigo piene di crostacei, molto verosimilmente dirà che il prodotto non vale più il prezzo iniziale. C’è un surplus come si dice in questo caso, troppa offerta e il prezzo per forza deve scendere. Ed è questa la dura legge del mercato. Il sogno infranto della marineria mazarese è ben lontano dai fasti degli anni d’oro in cui navigava in acque floride e garantiva un certo benessere in città e a tutto il comparto ad essa collegata, una filiera di indotto ben nutrita, fatta di operai dei cantieri, delle officine, di artigiani e commercianti beneficiati dal potere di acquisto dei marittimi. «Noi che siamo la filiera produttiva della pesca ci ritroviamo in una situazione di fallimento. Dobbiamo comunque pagare l’equipaggio che è salito a bordo, dare la parte che gli spetta e siamo in difficoltà anche perché avevamo investito dei soldi per sistemare la barca, per renderla sicura e poter affrontare il mare. Siamo indebitati e nessuno ci aiuta. Purtroppo il sistema siciliano ma credo che anche nel resto d’Italia sia così, ci indebitavamo perchè sapevamo che avremmo potuto onorare i nostri debiti appena rientrati dalla battuta di pesca ed invece non è stato così, non sarà possibile. Quale futuro per noi?».
Già, quale futuro attende un simile settore un tempo trainante? Costantino Giacalone
non la butta sul personale e anzi allarga l’attenzione sugli altri armatori mazaresi: «Quasi tutti sono in questa situazione, a parte qualcuno talmente “grosso” da avere capitali ben conservati e subisce meno questa crisi ma chi lavora come noi, guadagnando quello che serve per pagare le spese e sopravvivere, sta fallendo. Sono a forte rischio i sacrifici di intere generazioni che si sono dedicate a questo lavoro e per il quale hanno dato tutto». Viene quasi spontaneo a questo punto pensare agli aiuti statali, alle misure contenitive da adottare per le imprese in difficoltà. E quello che ci ha confermato Giacalone è allarmante. «Il settore pesca è abbandonato. La maggior parte dei soldi e degli aiuti sono andati all’agricoltura anche grazia all’interesse della Coldiretti che si è esposta di più per far prendere i contributi al settore. I 100 milioni di euro stanziati dal governo sono destinati a questo settore mentre alla pesca sono andate le briciole. Forse siamo poco rappresentati in tutta la Nazione e in Europa e le istituzioni ci dedicano scarsa attenzione. Non siamo da tempo considerati un settore importante. Che sussidio è quello di cui si parla? Cinquecento euro non ci bastano. Ci vuole una manovra degna delle aziende». Gambero Rosso, scampi e crostacei molto probabilmente rappresentano un prodotto di nicchia, destinato a chi può spendere senza badare troppo al cordone della borsa. Ma anche volendo, i pescherecci d’altura specializzati nella pesca di crostacei, non possono pescare altro. «Noi non possiamo pescare altro. Non possiamo andare dove ci sono bassi fondali, rovineremmo la fauna. I nostri pescherecci sono attrezzati per le zone fangose e lì andiamo per rispetto del mare perché da esso ci è sempre venuto il bene. E poi non abbiamo le licenze per pescare altro. La mia famiglia possiede pescherecci da 3 generazioni e io da giovane armatore, mi trovo in una situazione complicata. Siamo in difficoltà già da prima che insorgesse l’emergenza coronavirus. Le normative comunitarie già da tempo ci permettevano di andare a pescare con molte restrizioni, per un massimo di 200 giorni all’anno. Le spese per gli armatori però non diminuiscono. Dobbiamo pagare il nostro equipaggio tutto l’anno e i contributi. A tutto questo dobbiamo aggiungere il caro gasolio che negli anni scorsi ha avuto un’impennata ed è sceso solo adesso che siamo in piena emergenza coronavirus e non riusciamo a vendere il nostro pescato. Senza parlare della concorrenza sleale, della sperequazione che esiste fra noi e i Paesi frontalieri del Mediterraneo». Altro vulnus importante, questo, da non sottovalutare che da tempo esacerba i rapporti fra le istituzioni e i marittimi mazaresi. «Abbiamo 30 giorni di fermo biologico e non lavoriamo più di 200 giorni all’anno e molte, troppe restrizioni. Egiziani, tunisini, marocchini, libici, portano il loro pescato anche in Italia guadagnando molto di più perché pagano pochissimo gli uomini a bordo e non hanno i nostri costi di gestione. A tutto questo si è aggiunto il coronavirus, il nostro colpo di grazia».
I numeri parlano chiaro: Se nel 2000 la flotta mazarese era composta da 350 unità, appena 10 anni dopo è scesa a poco meno della metà, a circa 150. La parabola discendente è continuata fino a raggiungere il numero complessivo che, ad oggi, è di appena 80 imbarcazioni che danno lavoro a circa 600 persone con un indotto di circa 2.500 addetti. Prima della crisi della pandemia, il fatturato annuo della flotta era di circa 70 milioni di euro all’anno, senza contare il giro d’affari delle imprese dedite alla trasformazione, conservazione e vendita del pesce e in modo particolare dei crostacei.
Tiziana Sferruggia
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Anche a marsala e così.. Mio marito e pescatore ed anche loro hanno lo stesso problema.
Un attimo di ridimensionamento verso il basso non guasta, troppo lusso in passato;
Troppe Audi troppo di troppo
Mi spiace per chi sta male, l'economia ci ha sempre insegnato che i cicli esistono, per ora formichine siamo.
Nino Vitale