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Coronavirus,“Mamma, io resto al nord”: storie coraggiose di giovani siciliani che hanno scelto di non tornare

C’è chi è salito su uno di quei treni affollati diretti al Sud, a casa, per sentirsi al sicuro fra gente amata e conosciuta. C’è chi ha preferito fuggire dal nord, dal coronavirus, sfidando la sorte su quei treni stipati pur di tornare a casa. E c’è chi ha scelto, forse eroicamente, di restare al nord, di continuare a lavorare ed aiutare magari chi ha bisogno. Quattro giovani straordinariamente “normali” hanno voluto raccontarci una bella pagina di coraggio, di rispetto e di speranza.

Mi chiamo Lorena C. ho 29 anni e sono un’insegnante al settimo mese di gravidanza. Da siciliana, da mazarese, ho deciso di restare qui al nord, a Cremona, di non fuggire al Sud. Mio marito è siciliano come me e anche lui non ha smesso di lavorare perché è dipendente di un supermercato. Non sono partita perché so, sento, che è un’emergenza temporanea e poi al nord abbiamo una sanità che riesce a contenere il problema dei contagiati. Mi mancano i parenti che ho al Sud ma se so che stanno bene, allora sono tranquilla anche io. Qui le normali attività sono ferme e sembra di essere dentro una bolla o forse un sogno dal quale vorresti svegliarti perché ti manca la normalità. Fuori dalla finestra ci sono giornate sempre più lunghe e soleggiate. Questo restare a casa però mi sta aiutando molto a riflettere e a fare quello che in altri momenti avrei rimandato all’infinito. Questo stare fermi, sta aiutando a ripulire l’aria perennemente inquinata della Pianura Padana. Restiamo qua”.

Lorena C. ha scelto di restare, di non prendere nessun treno, nessun aereo, nessun traghetto diretti al Sud. Una “quasi” mamma che guarda al futuro con fiducia, che riesce persino a vedere i lati positivi di queste lente giornate passate a guardare fuori dalla finestra. Lorena si dedica infatti a cose che sarebbe stata costretta a rimandare per mancanza di tempo. Di altro avviso è la storia di Luca C. laureato in scienze infermieristiche, in prima linea contro il “mostro coronato”. Luca C. lavora a Piacenza, in un Covid Hospital e fa turni massacranti perché manca il personale e gli ammalati sono troppi. Dalla sua trincea, dal suo reparto, ci ha dato testimonianza della sua quotidianità senza tregua. Luca ha scelto di restare al suo posto per aiutare gli altri.

E’ una guerra, credetemi. Nel mio reparto c’è anche un ragazzo di 35 anni ricoverato. I parenti non possono vedere gli ammalati congiunti né parlare al telefono con loro. Non si possono spostare le maschere per parlare al telefono. E’ una terapia ad alti flussi di ossigeno, basta che stai 2 minuti senza, ti saturi o vai in acidosi. Il rammarico più grande è che i parenti non sanno nulla e si tratta di persone che magari stanno morendo. I parenti non possono entrare ed è drammatico. Ai malati di coronavirus manca la presenza del parente che spesso è, in questi casi, fonte di sostegno, di umanità. Anche noi che li curiamo non possiamo stare con loro per molto tempo nelle stanze perché dobbiamo fare un sacco di cose. Indossiamo la tuta anti contagio e la mascherina per almeno 6 ore. All’interno di queste tute si raggiungono temperature sui 27 c°. Manca l’aria, sudiamo, ma durante il turno in ospedale non possiamo bere o andare in bagno per evitare di togliere i dispositivi. Non abbiamo molto riposo. Per le strade la situazione è spettrale, non c’è nessuno per strada. Se da un lato è positivo, dall’altro lato, se c’è bisogno di aiuto, non c’è gente in giro che può darti una mano. Mancano tanti infermieri soprattutto specializzati che sappiano usare i respiratori e i caschi. Molti medici si stanno ammalando ed è già un miracolo se uno continua a prestare servizio e a lavorare.

Altra storia è quella di Francesco B. ventitreenne studente universitario, anch’esso mazarese. Francesco vive a Bologna ed ha scelto di restare a Bologna, anzi ha fatto una sorta di emigrazione al contrario. Dal Sud dove si trovava, il 3 marzo ha scelto di tornare a studiare a Bologna. Pur avendo la possibilità di tornare successivamente, ha deciso di non mettere a repentaglio la sua salute e quella dei suoi cari. Per lui parla la madre, Piera P. insegnante mazarese.

Mio figlio aveva da mesi deciso di scendere a Mazara il 20 di febbraio e di tornare il 3 marzo a Bologna. E’ partito il 3 mattina e il 4 marzo c’è stata la chiusura. Prima era tutto normale o almeno così ci sembrava. Ora sta a casa. Esce solo qualche volta per fare la spesa. Mi sembra sereno. Io come madre non sono ansiosa né ansiogena. Gli dico di stare attento, di lavarsi bene le mani quando torna a casa e di non avere contatti ravvicinati con gli altri. Ha criticato quelli che sono scesi al Sud. Nessuno è immune e la situazione è molto preoccupante. Capisco anche chi ha fatto la difficile scelta di tornare. Molti vivono in case piccolissime, deve essere come impazzire restare dentro“.

Un’altra storia coraggiosa ce la racconta un giovane marsalese, Andrea B. 30 anni, che ha deciso di restare al nord, da solo, in casa. Si trovava in Toscana per uno stage formativo, successivamente interrotto a causa del coronavirus. “ Avevo da poco iniziato lo stage, con l’emergenza coronavirus, ho successivamente lavorato da casa tramite lo Smart Working. Adesso la Regione Toscana ha congelato i contratti e questo significa che tornerò a lavorare dal 4 aprile. Per me stare qui, è una questione di senso civico. Per me non era proprio il caso si tornare in piena crisi con il rischio di portare il coronavirus al Sud anche se a mia insaputa dato che avrei anche potuto averlo ed essere asintomatico. Resto al nord”.

Andrea ha scelto di non tornare a Marsala, di non viaggiare, di superare l’emergenza restando al proprio posto. Determinazione e forza nelle storie di questi giovani. Questo è un Tempo che rivela impietosamente i difetti degli uomini ma che esalta anche le grandi virtù.

P.S. Queste belle storie le abbiamo potuto raccontare grazie alla cortese mediazione di Piera P. volitiva insegnante mazarese, mamma orgogliosa di Francesco B e zia di Luca e Lorena e di Giuseppe, orgoglioso papà di Andrea

Tiziana Sferruggia

Tiziana Sferruggia

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