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L’eredità degli anni di piombo

Ricorreva ieri il 40° anniversario dall’uccisione di Vittorio Bachelet. Era il 12 febbraio del 1980 quando due giovani seminarono il terrore nei locali della Sapienza di Roma, sparando mortalmente al vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura. Un delitto efferato, che a poco meno di due anni dalla morte di Aldo Moro segnava un’ulteriore tappa del progetto sovversivo delle Brigate Rosse nei confronti di uno Stato che continuava a mostrarsi incapace di proteggere i suoi servitori. Una stagione lunga e controversa, quella degli Anni di Piombo in Italia, su cui ancora non è stata fatta piena luce. Sappiamo che a sparare contro Bachelet furono Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti con l’obiettivo di aggiungere un ulteriore tassello allo smantellamento delle istituzioni democratiche. Non sappiamo, però, se fu tutta farina del loro sacco o se furono “menti raffinatissime” a ordine il disegno criminale. La nostra Repubblica vacillò, come accadde tra il ’92 e il ’94 con la stagioni delle stragi mafiose. Tuttavia, riuscì a superare quella drammatica stagione grazie alla dolorosa fermezza di alcuni tra i suoi più lucidi protagonisti e al crescente dissenso del popolo italiano nei confronti delle strategie terroriste. Nel rileggere la ricostruzione dell’anniversario dell’omicidio Bachelet, mi sono imbattuto nelle parole pronunciate dal figlio Giovanni al funerale dell’insigne giurista: «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Parole pesate e sofferte, che evidentemente intendevano seguire una linea di coerenza con la testimonianza di Vittorio Bachelet, che fece del diritto e del dialogo con chi la pensava diversamente i punti centrali della propria esistenza. Vale la pena, in questo tempo complesso, segnato da seminatori d’odio e cacciatori di streghe, riscoprire il valore delle parole di Giovanni Bachelet, il lucido invito a rispettare la supremazia del diritto e la sacralità dei valori costituzionali anche di fronte ai delitti più efferati e alle urla di chi confonde l’amore per la giustizia con la sete di vendetta. Non sempre è facile, probabilmente è la strada più lunga, ma è senza dubbio quella che può darci maggiori garanzie sulla tenuta democratica del nostro Paese anche nei periodi di maggiori intemperie.

Vincenzo Figlioli

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