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Storia di una mamma che lotta

Oggi voglio raccontare una storia. Una storia che non fa ridere, ma che dovrebbe farci riflettere su davvero tante cose. Qualche giorno fa, ritornando da una sessione di yoga per gestanti, ironizzavo con un’amica sul mio peso e sul fatto che di lì a poco avrei incontrato la mia ginecologa che senza dubbi mi avrebbe rimproverato per non aver seguito i suoi sani consigli e aver mangiato carboidrati e dolci come se non esistesse un domani. Mentre tornavo a casa, incontro un’amica che non vedevo da tempo. E questa è la sua storia.

Questa è la storia di una ragazza giovanissima, di appena 25 anni, a cui, immediatamente dopo il parto, viene diagnosticata una artrite reumatoide. La storia di una neo-mamma che, invece di godersi sua figlia, per tanto tempo sopporta dolori atroci alle articolazioni, alla schiena, alle ginocchia, alle dita delle mani e dei piedi. Una mamma che, durante i primi mesi di vita di sua figlia, rimane costretta a rimanere in sedia rotelle, senza poter camminare o alzarsi, senza poter lavarsi e vestirsi, senza poter allattare sua figlia o semplicemente prenderla in braccio. È la storia di una mamma che si ritrova, come tante altre, con la fastidiosa cicatrice di un parto cesareo, la stanchezza delle tante notti insonni, la ricerca continua di un equilibri che, chiaramente, stentano ad arrivare. Ed in più, oltre a tutte le difficoltà di ordinaria amministrazione, si ritrova ad affrontare un problema nuovo, che la porta a sentirsi una mamma e una donna diversa e fuori luogo. Una patologia che la porta a vedersi gonfia, con i peli sul viso, semi paralizzata, con una mente giovane in un fisico da ultra ottantenne. È la storia di una mamma che si trova costretta a subire un tipo speciale di chemioterapia in grado di combattere le cellule cattive in circolazione nel suo organismo. Cellule, che, ironia della sorte, sono i suoi stessi anticorpi. Questa storia, però, è anche la storia di una donna che lotta ogni giorno e la voglio raccontare perché finisce bene. Perché tutti, prima o poi, ci ritroviamo a lottare contro qualcosa. E perché per combattere e vincere le nostre battaglie, abbiamo bisogno di speranza, di sapere che qualcuno vicino a noi ce l’ha fatta. E la sua è una storia di queste. Mi ritrovo ad ascoltare il racconto di una mamma costretta a sedersi in un divano, in attesa che qualcuno le attacchi la bambina al seno, per il puro amore di allattare sua figlia. Una mamma che si attrezza con pannolini e salviettine in ogni angolo della casa, per la voglia di essere utile per la sua bambina e di poter rispondere alle sue prime esigenze. Una mamma che inizia una terapia sperimentale ed innovativa, in vista di un matrimonio imminente: il suo.

Ascolto la sua storia e guardo le fotografie che lei stessa mi mostra con un po’ di vergogna. Mi dice che riguardando quelle immagini le viene da piangere e che il timore più grande è che sua figlia, un giorno, possa soffrire della stessa patologia e subire le sue stesse sofferenze. Mi dice che un’altra gravidanza sarebbe impensabile, considerato che potrebbe scatenare altre malattie autoimmuni con relative gravi conseguenze. E poi, quando io sono con il cuore in gola e le lacrime agli occhi, quando penso a quanto sono stata stupida ad ironizzare un attimo prima sul mio peso che cresce a dismisura, mi dice che adesso sta bene. Che ce l’ha fatta. Che si sottopone continuamente a radiografie e controlli di routine per verificare lo stato della sua salute. Che quei dolori lancinanti sono terminati e che, finalmente, può godersi la sua bambina. Mi dice che vuole raccontare la sua storia, che vuole essere una testimonianza di quanto la vita debba essere vissuta in ogni secondo, perché non sai mai cosa ti può succedere il minuto successivo. E che, qualunque cosa abbia in serbo per te, devi trovare la forza per rialzarti e reagire. Mi dice che la sua forza si chiama famiglia. E che la sua energia vitale, indubbiamente, è la sua dolcissima bambina.

Michela Albertini

redazione

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