Stamattina gli investigatori della Dia di Trapani hanno notificato un’ordinanza di arresti domiciliari a Maurizio Lipani considerato uno dei più validi amministratori giudiziari di beni sequestrati e confiscati ai boss, contestazione pesante mossa dalla procura diretta da Francesco Lo Voi.
Il commercialista palermitano è accusato di essersi intascato soldi provenienti da due aziende ittiche sequestrate al boss trapanese Mariano Agate, uno dei fedelissimi di Totò Riina. Si tratterebbe i di un impirto pari a circa 355 mila euro.
Due le ipotesi di reato contestate dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Alessia Sinatra, Gianluca De Leo e Francesca Dessì: peculato e autoriciclaggio. In carcere sono finiti anche il figlio del capomafia, Epifanio Agate e la moglie Rachele Francaviglia, che secondo gli inquirenti avrebbero continuato a gestire parte del patrimonio, costituito da alcuni immobili e società. Insomma, l’ennesimo pasticcio attorno ai beni sequestrati e confiscati.
I primi, sotto la gestione delle sezioni Misure di prevenzione dei tribunali. Gli altri, dell’Agenzia beni confiscati. Sono gli organismi che dovrebbero vigilare sull’operato degli amministratori giudiziari nominati. Dopo lo scandalo Saguto, che ha portato alla radiazione dalla magistratura della giudice palermitana, nomine e procedure sembravano essere passate attraverso criteri più rigidi. Ma le indagini del sezione Dia di Trapani, guidata dal tenente colonnello Rocco Lopane, hanno svelato un giro di soldi che non doveva affatto esserci. Probabilmente, è il sospetto di chi indaga, non solo attorno al patrimonio sequestrato agli Agate, ma anche in altre amministrazioni giudiziarie che Lipari gestiva a Palermo e a Reggio Calabria.
Intanto, il gip ha disposto nei confronti del professionista un sequestro di beni per 350 mila euro, l’equivalente di quanto sottratto alle casse dello Stato.