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Pd, M5S e pop corn

Il commissariamento del Pd in Sicilia era nell’aria da mesi. Anomala fu a dicembre la designazione di Davide Faraone dopo il ritiro dell’unica sfidante, Teresa Piccione. E del resto, lo stesso ex sottosegretario alla pubblica istruzione del governo Renzi si era limitato in questi mesi a un attivismo prettamente mediatico, ostentando un dinamismo che raramente aveva mostrato negli anni precedenti. Tuttavia, Faraone si è guardato bene dall’affrontare i nodi più spinosi che hanno condizionato i democratici siciliani nei vari territori, ben sapendo che sarebbe toccato al nuovo segretario nazionale Nicola Zingaretti indicare la strada che il Pd avrebbe dovuto intraprendere in Sicilia dopo le sonore sconfitte incassate negli ultimi anni.

Accantonata la “vocazione maggioritaria”, i democratici dovranno scegliere nuovi interlocutori con cui mettere assieme un nuovo campo elettorale. Esclusa la possibilità di un dialogo con la Lega, l’alleanza naturale sarebbe la riproposizione della tradizionale coalizione progressista, capace di attingere in maniera credibile alla società civile, al mondo delle professioni o dell’associazionismo nel nome di valori condivisi, dalla lotta alla mafia a quella per i diritti (sociali e civili). C’è da superare la ritrosia della componente più centrista del Pd come quella della Sinistra che ancora si nutre del pregiudizio contro i renziani, sperando di non ritrovarsi con le incomprensioni che decretarono l’epilogo dei governi guidati da Romano Prodi. A Faraone non sarebbe dispiaciuto un accordo con Forza Italia e Miccichè, magari sotto la confortevole bandiera del civismo. In generale, l’impressione è che un’alleanza del genere costituirebbe l’unione di due debolezze, poco vantaggiosa da un punto di vista elettorale in mancanza di candidati carismatici (come fu, ad esempio, Giacomo Tranchida a Trapani). Continua a rimanere tabù, per gran parte dei dirigenti del Pd, un’interlocuzione con il M5S. Una strada tentata (senza convinzione) da Bersani nel 2013 e snobbata dai pentastellati, prima che lo scenario si ripetesse a parti invertite nel 2018 (decisivo il veto di Renzi).

Nonostante anni di aspre polemiche e scontri feroci, tanti italiani continuano a pensare che Pd e 5 Stelle farebbero bene a provarci, nel caso in cui cadesse l’accordo tra Di Maio e Salvini. Magari, partendo dai territori e da figure non divisive. La Sicilia, come spesso è accaduto in passato, potrebbe tornare a rappresentare un interessante laboratorio politico già a partire dalle prossime amministrative. A meno che, non si preferisca mangiare i pop corn a oltranza, lasciando il pallino del gioco alla Lega per i prossimi 20 anni.

Vincenzo Figlioli

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