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L’audizione di Borsellino all’Antimafia: “Marsala è il santuario delle cosche”

“A Marsala non ci sono cosche in collegamento con Trapani e Palermo. Qui c’è Cosa Nostra”. Con queste parole Paolo Borsellino, da tre mesi a capo della Procura lilybetana, l’11 dicembre del 1986 illustrava alla Commissione Parlamentare Antimafia, in visita a Trapani, qual era la sua percezione della presenza malavitosa sul circondario di Marsala. A pochi giorni dall’anniversario della Strage di via D’Amelio, l’attuale Commissione Antimafia presieduta da Nicola Morra ha desecretato gli atti di quelle audizioni, che hanno il merito di restituire un affresco prezioso di quel tempo, segnato da omicidi eccellenti e guerre di mafia che insanguinarono il trapanese fino all’inizio del decennio successivo. Nel corso della stessa audizione, il giudice istruttore del Tribunale di Caltanissetta Claudio Lo Curto arrivò addirittura a dire che Cosa Nostra era nata in provincia di Trapani, tra Alcamo e Castellammare del Golfo.

La sensazione, certificata anche da una dichiarazione del democristiano Sergio Flamigni (componente della Commissione Antimafia nella IX Legislatura, presieduta dal deputato comunista Abdon Alinovi), era comunque che fino a quel momento lo Stato avesse colpevolmente sottovalutato la presenza di Cosa Nostra a ovest di Palermo. Così, mentre da un lato mandava un esperto di mafia come Paolo Borsellino a guidare la Procura di Marsala, al contempo non gli dava gli strumenti per operare come avrebbe voluto: “Sarebbero necessarie diverse ore per protestare contro la situazione di Marsala: mi sono trovato immediatamente a dover affrontare una assoluta smobilitazione della Procura della Repubblica. Quando sono arrivato erano già stati trasferiti tutti i miei sostituti ed in questo momento ne trattengo, in regime di proroga, soltanto uno. A gennaio, solo uno di questi verrà sostituito. E’ chiaro che una situazione del genere non è quella che mi aspettavo, anche perché confidavo che il Consiglio superiore della Magistratura provvedesse ad una immediata sostituzione”.

Grazie all’attività portata avanti negli anni precedenti, Borsellino sapeva bene che Trapani era una provincia in cui facevano affari sia la mafia palermitana che quella catanese. Nella sua deposizione si fa anche riferimento a una società, denominata “Stella d’Oriente”, in cui figuravano come soci, “tutti i componenti della famiglia campana Nuvoletta, insieme con Mariano Agate e grossi personaggi palermitani”. A Capo Granitola, poi, era sorto un complesso residenziale in cui erano registrati con le proprie generalità Vito Roberto Palazzolo, Giovanni e Stefano Bontade, Stefano Gallina e tutti i Madonia. Afferma ancora Borsellino: “E’ una mia convinzione, basata però su dati di fatto, che la zona di Marsala sia diventata una specie di “santuario” delle cosche mafiose. Mi sono chiesto come mai Bernardo Provenzano e Salvatore Riina, capi riconosciuti di Cosa Nostra, hanno l’uno parenti e l’altro grandi proprietà terriere a Castelvetrano, attraverso la moglie segreta Saveria Benedetta Palazzolo. Perché proprio a Marsala? Perché il fratello di Salvatore Riina abita a Mazara del Vallo da circa 20 anni e, per una certa situazione riguardante le forze di polizia, pur sapendo che si recava ogni settimana a Corleone non era mai stato fatto un pedinamento. E’ chiaro che Salvatore Riina, che ha dei figli che non si sa dove siano, un contatto con il mondo esterno, con la vita civile, deve pure tenerlo! Niente di strano che lo tenga attraverso il fratello, sul quale non si era fatto alcun accertamento. Io ho rilevato l’esigenza di farlo”.

Rispetto ai fatti di sangue avvenuti a Marsala negli anni immediatamente precedenti la sua nomina alla Procura, Borsellino ritiene che possano considerarsi come “ondate ritardate del processo egemonico dei corleonesi su Cosa Nostra”. “Gli ultimi che si sono verificati, invece, sembra che abbiano le stesse caratteristiche che hanno certi omicidi più recenti nel palermitano, di assestamento, che qui prende un aspetto particolare: sembra che la famiglia egemone stia “liquidando” i piccoli boss locali, non gente di Cosa Nostra, ma quelli che in Sicilia chiamiamo “malandrino locale”; evidentemente qualcuno continuava ad esercitare piccole pressioni o estorsioni e si sta facendo “piazza pulita”, in quanto quello che era consentito quando non esisteva questa ferrea egemonia di una cosca sulle altre, ora probabilmente non lo è più. Quindi, alcuni omicidi sembrano avere una funzione di consolidamento”. Borsellino evidenzia ancora come a Marsala, quinta città della Sicilia, non ci fosse “una volante né della polizia, né dei carabinieri, che potesse assicurare l’intero arco delle ventiquattro ore”. Da qui, dunque, la decisione di rinunciare alla scorta, limitando la sua tutela alla macchina blindata. In tal modo si potevano recuperare due agenti da dedicare ad altri servizi sul territorio.

Nella brillante descrizione della situazione del circondario di Marsala (che comprende anche Mazara, Castelvetrano e il Belice), Borsellino evidenzia anche il paradosso del trasferimento a Palermo dell’unica motovedetta della Guardia di Finanza che avrebbe dovuto vigilare sui traffici “della più numerosa flotta peschereccia d’Italia […] utilizzata chiaramente per il trasporto della morfina di base”. Proprio sul traffico di droga, nella stessa audizione, meritano un richiamo anche le altre dichiarazioni del giudice Claudio Lo Curto, che spiega come i comprensori di Alcamo e Marsala fossero le uniche zone di raffinazione di sostanze stupefacenti. Infine, Borsellino fa riferimento al fenomeno della sofisticazione dei vini (“mi illudevo fossero in regresso, ma recentemente ci sono state grandi truffe ai danni della Comunità economica europea”) e agli istituti bancari, sui l’ex Procuratore traccia una descrizione inquietante: “Non so se le banche locali collaborano. Posso dire solo che qui c’è forse la più alta concentrazione di banche. Marsala sembra Lugano o il Lussemburgo, perché qui c’è una banca ad ogni piè sospinto, oltre un grande numero di un qualche cosa che a Palermo, cioè di istituti finanziari che funzionano come banche e che hanno degli sportelli aperti. E’ vero che questa è una città ricca, opulenta (quanto meno la città), però io comincio a dubitare proprio per le cose che ho saputo in questi ultimi giorni, in queste ultime ore, in cui ho avuto la sensazione di aprire il coperchio su qualche cosa (spero tanto di avere la possibilità di approfondire questo tipo di indagine) per cui invece in queste banche non tutto sembrerebbe chiaro”.

Vincenzo Figlioli

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Tags: Commissione Parlamentare AntimafiaPaolo Borsellino