Siamo stati in vacanza. Una notte e due giorni. Vacanza, poi, si fa per dire. Abbiamo portato con noi una valigia che sembrava stessimo andando in crociera una settimana a Dubai. Invece no. Purtroppo, no.
Il fatto è che in quella valigia c’erano dentro i nostri progetti e i nostri desideri, ma soprattutto le previsioni meteorologiche per tutte e quattro le stagioni.
Il costume, perché in hotel c’è la piscina. I braccioli, perché Chiara non sa nuotare. I braccioli bis, nel caso in cui il primo paio si dovesse bucare. Le ciabattine, ovviamente. Il prendisole, capello anti scottatura, poi pantaloncini e maglietta. Se fa freddo, però, ci vogliono i jeans lunghi, un giubottino, una sciarpa, magari un capellino di cotone. Una felpa, non si sa mai. Poi, certamente, la crema protettiva, la crema dopo sole, le salviettine, l’occorrente, quello quotidiano. Ma anche la Tachipirina. Perché tanto è una regola universale che, in qualsiasi mese dell’anno tu progetti una vacanza, tua figlia in quel preciso giorno starà male. Quinta malattia, sesta malattia, febbre, vomito, tosse, rash cutaneo, qualsiasi cosa, ma stai sicuramente starà male. E se non sta male, in ogni caso troverà un qualsiasi altro motivo per lamentarsi o piangere.
Arriviamo in hotel dopo tre ore di macchina, due fermate in autogrill, un pacco di patatine, una merendina, un succo di frutta. Abbiamo decisamente l’aspetto di tre persone che sembrano arrivare dall’altra parte del mondo, a piedi. Siamo sudati, non ce ne accorgiamo, ma sicuramente puzziamo. Abbiamo un totale di valigie, sacchetti e borsoni pari ad una squadra di calcio in trasferta.
Finalmente ci consegnano le chiavi della camera, il letto è spazioso, la vista è proprio sul lago, l’aria è fresca e profumata. Ma noi, noi non ci fermiamo: una vacanza di due giorni è una vacanza molto corta, non c’è tempo per riposare.
Immediatamente, costume e via in piscina. Seguono giochi e schiamazzi in acqua (ovviamente preceduti da “l’acqua è troppo calda, è troppo fredda, mamma ho paura”, varie ed eventuali del primo bagno estivo dopo un anno intero di inverno profondo).
Due ore e subito via in camera, doccia, cambio, preparazione borsa come quella di Mary Poppins, giro culturale in città (a piedi, con passeggino in salita), partecipazione all’evento che ci ha costretto a “subire” tutto questo con l’utopistica speranza che potesse essere una vacanza rilassante.
Il giorno dopo mia figlia si sveglia alle 5.50. Perché la legge dei bambini vuole che se tua figlia deve andare a scuola ci vuole il megafono per svegliarla, ma se è weekend o festivo lei fa le ore piccole.
Seguono tre ore per convincerla a riaddormentarla: favolette, ninna nanna, giochi sul telefono, alla fine le minacce. Non si addormenta, è chiaro. Ma la ignoriamo un po’ e già è ora di fare colazione, che se non ti sbrighi ti lasciano a digiuno o, comunque, non trovi più nulla.
Di nuovo, preparazione per la piscina, doccia, cambio vestiti (manco se fossimo alla prima di Sanremo), e di corsa in città per il pranzo. A seguire, le tre ore di macchina per il rientro a casa.
Ci aspetta un comitato di accoglienza (per la bambina, ovviamente; a noi non calcola nessuno) ed ennesima mangiata di festeggiamento.
Al rientro a casa, non può mancare la lavatrice e la preparazione per i vestiti del giorno dopo (“sveglia presto che domani c’è scuola”).
La nonna manda un messaggio: “Vi sarete rilassati moltissimo, sicuramente. Ma è bello avervi qui.” Certo, “rilassamento” è proprio il termine a cui pensavo. Mi sento così rilassata che penso che l’unica cosa che porto a casa da questi due giorni sono due chili sulla pancia. Altre due lavatrici da fare, una targa-premio di partecipazione all’evento. Che adesso giace nella vetrina in salone. Come a ricordarci, in tutta la sua maestosità, di tutto quello che abbiamo dovuto affrontare per essere lì in quell’indimenticabile, afosa, decisamente stressante giornata.
Michela Albertini