“Molto rumore per nulla”. Mai come in questo caso la citazione shakesperiana appare pertinente per accompagnare la notizia dell’avvenuta assoluzione del 32enne senegalese Bichara Ibrahim Tuani e del 27enne Ibrahim Amid dall’accusa di minacce, violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I loro nomi, probabilmente, diranno poco a gran parte dell’opinione pubblica nazionale. Eppure furono, loro malgrado, protagonisti di uno dei casi più controversi delle cronache italiane dell’ultimo anno. I due africani si trovavano infatti a bordo della nave Diciotti della Guardia Costiera che fu bloccata per giorni in mare per volontà del ministro Matteo Salvini prima che potesse attraccare al Porto di Trapani lo scorso 12 luglio. Per sbloccare la situazione dovette intervenire il Capo dello Stato Sergio Mattarella, ponendo fine a una lunga trattativa in cui il Ministro dell’Interno accusava i due di essere “violenti dirottatori”.
Secondo le ricostruzioni di quelle convulse giornate, Tuani e Amid si erano scagliati contro alcuni componenti dell’equipaggio del rimorchiatore battente bandiera italiana Vos Thalassa che li aveva soccorsi vicino a una piattaforma petrolifera a largo delle coste libiche. Pare che i due fossero andati in escandescenze alla notizia che sarebbero stati riportati in Libia. Nel corso del processo, il giudice Piero Grillo ha messo agli atti una relazione dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, da cui si evinceva come sia la Libia che i Paesi di provenienza dei due imputati (difesi dall’avvocato Donatella Buscaino) fossero realtà caratterizzate dalla negazione dei diritti umani previsti dalla nostra Costituzione e dai Trattati internazionali. Da qui la decisione di assolvere Tuani e Amid, “per non aver commesso il fatto”.