Uno scalo tecnico in attesa di riprendere le proprie attività e la propria missione: salvare persone. Il Porto di Marsala ha accolto in queste ore la Mare Jonio, l’imbarcazione del progetto Mediterranea finita recentemente al centro delle cronache per il salvataggio di 50 migranti lungo il Canale di Sicilia e il temporaneo sequestro disposto dalla Procura di Agrigento con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Una vicenda che si inserisce nell’ambito dello scontro in atto da mesi tra il governo italiano e le organizzazioni non governative che soccorrono in mare donne, uomini e bambini in fuga dalla Libia. A dare il benvenuto in città all’equipaggio una delegazione composta dalle associazioni Libera e Archè e dal consigliere comunale Daniele Nuccio.
“E’ stata la più grande emozione della mia vita”, spiega il giovane medico milanese Guido Di Stefano, che ha messo a disposizione dei migranti la propria professionalità. “Molti di loro erano disidratati e sui loro corpi erano presenti diversi segni di torture varie, frustate, scosse elettriche. Erano molto spaventati anche da un punto di vista psicologico: molti di loro non sapevano nuotare e anche quando sono saliti da noi continuavano a guardare le onde spaventati”.
In un altro momento storico l’equipaggio della Mare Jonio avrbebe probabilmente ricevuto i più alti riconoscimenti per il proprio impegno umanitario. Nell’Italia di oggi, come sottolinea lo stesso Di Stefano, “ci ritroviamo di fronte al paradosso di doverci giustificare per quello che abbiamo fatto”.
La Mare Jonio è una nave di 41 anni rimessa a nuovo grazie a un progetto di crowdfunding che ha raccolto 600.000 € dal basso con l’obiettivo, come afferma la portavoce Alessandra Sciurba, “di difendere la vita umana sempre e comunque”. Tecnicamente, più che un’organizzazione non governativa è un’azione non governativa, incentrata su “obbedienza civile e disobbedienza morale”. “Siamo noi a difendere il diritto, mentre il governo lo viola. Per questo siamo contenti che sia stata aperta un’inchiesta sulla nostra missione, in modo tale che possano parlare gli atti, piuttosto che la propaganda”. L’equipaggio sottolinea con forza questo concetto, respingendo le accuse strumentali di essere la nave di Sinistra Italiana o dei centri sociali. “La Costituzione è la nostra bussola. Non ci spaventano gli attacchi scomposti che abbiamo subito, perché ci rendiamo conto che non è facile criminalizzare la verità oggettiva: abbiamo salvato 50 vite umane. E gran parte della gente comune ce lo ha riconosciuto, accogliendoci in tante piazze italiane”. Alessandra Sciurba ricorda con commozione le parole di una signora palermitana che le si è avvicinata dentro a un bar: “Ci ha detto che camminiamo in un fascio di luce benedetta, che siamo persone d’altri tempi, che le abbiamo fatto capire cosa significa parlare della vita e della morte”.
E poi ci sono gli sguardi dei salvati, sopravvissuti a quel Mediterraneo che tante vite ha inghiottito in questi anni ma anche alle strutture detentive libiche che tanto ricordano i campi di concentramento nazisti e che l’Italia ha in qualche modo alimentato con gli accordi del 2017 in cui si davano soldi e strumenti alla Guardia Costiera libica pur di ridurre gli sbarchi sulle nostre coste. “Se potessimo guardare il nostro Paese con gli occhi di chi arriva dopo la Libia e il mare – spiega ancora Alessandra Sciurba – faremmo del bene a noi stessi e troveremmo soluzioni ai problemi reali che abbiamo, ma che non c’entrano niente con l’immigrazione”.
Di Salvini, per scelta non parlano, nonostante le provocazioni via twitter o a mezzo stampa. “Spiace però constatare – conclude Alessandra Sciurba che il Viminale continui a diffondere notizie false, come quella secondo cui sarebbe consentito rimandare le persone in Libia. Nel giro di un’ora da queste dichiarazioni, la Commissione Europea, l’Oim e l’Unhcr hanno replicato, confermando il divieto assoluto di riportare. L’ennesima figuraccia che ci saremmo potuti risparmiare”.