Ci sono persone che hanno l’habitus del maestro. Quando le incontri lo capisci subito e dal primo momento comprendi che da quel maestro potrai apprendere sempre, lo potrai interpellare ben oltre il tempo in cui le vostre strade si incontreranno. È quel che mi accadde con Enzo Tartamella, una specie di padre giornalistico per me, ma anche per molti altri che hanno frequentato la redazione trapanese del Giornale di Sicilia.
Lo conobbi nel 2004, quando, da praticante della scuola di giornalismo “Mario Francese”, iniziai il mio stage, indispensabile per fare gli esami da giornalista professionista. Ricordo bene che il direttore responsabile di Ateneonline (la testata giornalistica dell’Università) Natale Conti si mise direttamente in contatto con il professor Tartamella, dicendo che io avrei dovuto svolgere la mia pratica con lui. Il primo giorno parlammo molto, credo che volesse capire come io “frequentavo la lingua italiana” oltre a cercare dentro di me una potenziale collega. Tra giornalisti ci si dà del tu per deontologia, ma io con lui non ci sono mai riuscita. La sua autorevolezza mi impediva di raggiungere un livello colloquiale paritario. Mentre i miei colleghi stagisti presso altre redazioni passavano il tempo a riempire colonne di brevi, Enzo Tartamella, intuendo la mia predilezione per la cronaca, mi mandò subito in strada. Il mio primo pezzo pubblicato fu una mini inchiesta sul settore commerciale. Da quel momento non ho mai smesso di cercare di farmi di idee mie, prediligendo le fonti dirette, la strada appunto.
Fu breve il tempo in cui Enzo Tartamella fu il mio tutor, visto che stava per andare in pensione, ma non smise mai di sostenermi e allo stesso modo io non ho mai smesso di considerarlo un punto di riferimento, un esempio di eleganza e onestà intellettuale. “Ti auguro tanta serenità, buon lavoro, un po’ di pazienza e soprattutto regala un sorriso alla tua creatura. A lei lo devi, senza se e senza ma. Auguri: pazienza e sapienza, lo sussurravo all’orecchio del mio bambino Davide quando si stiracchiava dopo un sonno ristoratore. Lui ha raccolto il mio auspicio, il Signore le mie preghiere”. Queste sono le ultime parole rivoltemi in una delle tante email che ci siamo scambiati.
Mi ha più volte ribadito il concetto di onore nel compiere questo mestiere nel segno dell’indipendenza intellettuale e del rispetto profondo per il lettore. Mi ricordava sempre che il mio valore stava nel fatto di non aver avuto mai favoritismi, né sconti e neppure di essermi mai posta sotto il potente di turno. “Comunque – mi scrisse quando avviai una nuova collaborazione con mensile regionale di carattere culturale –, tu da questa fatica devi trarre il massimo profitto; imparare il mestiere (anche di questo comparto), fare amicizie, allacciare relazioni, crearti una nuova pedana di lancio e farti conoscere. La tua “paga” integrativa deve essere questa. Insomma, “ruba” esperienza e pensa un po’ alla tua crescita professionale”.
Queste parole restano per me un patrimonio importante, inestimabile, ma grazie a Dio ne ha lasciate altre a beneficio di tutti, le sue tante pubblicazioni di carattere storico e sempre in un italiano forbito e rispettoso tanto delle fonti, quanto di chi avrà il privilegio, in ogni tempo di leggerle.