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Paolo Borrometi: “Minacciare i giornalisti è diventato uno sport nazionale”

Lo scrittore, sotto scorta per essere stato minacciato di morte dalla mafia della Sicilia orientale, ha presentato il suo libro “Un morto ogni tanto” al Centro Congressi Marconi di Alcamo. Alla chiusura dell’incontro con l’autore, è stata annunciata una mozione di indirizzo, condivisa dall’intero Consiglio comunale, per riconoscergli la cittadinanza onoraria.

Si è svolta nel tardo pomeriggio di ieri, presso il Centro Congressi Marconi di Alcamo, la presentazione dell’ultimo libro di Paolo Borrometi, il giornalista ragusano minacciato di morte dalla mafia. “Un morto ogni tanto”, edito da Solferino, è il titolo del suo lavoro e prende spunto dal contenuto delle intercettazioni degli uomini di cosa nostra che controllano la Sicilia orientale e che stavano organizzando un attentato. La condanna a morte di Borrometi viene decisa per avere fatto nomi e cognomi dei mafiosi ragusani e siracusani nelle sue numerose inchieste giornalistiche. “Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve! Per dare una calmata a tutti!” così, cosa nostra ha chiesto di uccidere il giornalista che indaga sui suoi affari.  Paolo Borrometi non si arrende e continua a scrivere sul suo sito indipendente La Spia.it da dove denuncia gli intrecci tra mafia e politica. Grazie ad una delle sue inchieste giornalistiche è stato sciolto per infiltrazioni mafiose il Comune di Scicli. Per il suo impegno nella lotta alla criminalità organizzata, nel corso della serata, è stata annunciata l’imminente presentazione di una mozione, condivisa dall’intero Consiglio comunale, per riconoscergli la cittadinanza onoraria. All’evento hanno preso parte lo scrittore Alessandro Cacciato, l’eurodeputato dei 5 stelle, Ignazio Corrao, il sindaco di Alcamo, Domenico Surdi, e la vicepresidente del Consiglio comunale, Giovanna Melodia. Gli attori Cristian Pirrone, del Centro Neapolis Alcamo, e Chiara Calandrino, della Cooperativa Piccolo Teatro di Alcamo, hanno letto alcuni brani del volume scritto da Borrometi. Alla presentazione del suo libro, erano presenti le autorità civili e militari della città. Al termine dell’incontro, l’autore ci ha rilasciato un’intervista.

Il Movimento delle Agende Rosse le ha espresso solidarietà a seguito di una lettera scritta dai parenti del boss Michele Crapula, e rivolta ai suoi concittadini, nella quale si dice che presto pagherà il conto a Dio. Lei ha espresso delle parole dure per l’indifferenza. Può spiegarci il perché?

Perché il problema di questa società è proprio l’indifferenza. Il problema maggiore, più grave è che quando per mala fede piuttosto che per non curanza o mancanza di conoscenza si mette un “like” o si condivide un post non solo dei parenti di un capomafia, ma delle persone a cui, a seguito di un’analisi del comitato delle forze dell’ordine e della magistratura, viene chiusa un’attività o alcune attività, come in questo caso, io penso che sia una responsabilità enorme e gravissima. E questa è una cosa che non può e non deve accadere. Mi ha fatto molto male perché loro prendono me come responsabile. Loro, quei cittadini che nei fatti stanno in silenzio, si girano dall’altro lato, prendono me come responsabile invece di quei responsabili che stanno inquinando ancora oggi la nostra terra. Ecco, io penso che non sia più il momento di rimanere in silenzio o di nicchiare perché tanto non riguarda noi. Penso sia il momento di schierarsi. E dobbiamo schierarci perché se non ci schieriamo alla fine sarà troppo tardi.

Lei ha anche ribadito che ha raccontato la verità nei pezzi che ha scritto. Pezzi che sono stato oggetto di querele. A proposito di questo, una settimana fa ha fatto un appello affinché in Italia approdi in Parlamento una norma contro il bavaglio ai giornalisti.

Esatto, è proprio quello il tema. Oggi, minacciare i giornalisti è diventato uno sport nazionale, purtroppo. E lo è da anni, ma, in questo periodo, si è arrivati a dei toni inaccettabili, ed è ciò che dicevo stasera. Ci vuole una legge seria che possa arrivare a limitare quelle che sono le clave agitate con le cosiddette querele temerarie, perché se un giornalista viene querelato una seconda volta, una terza volta, a quel giornalista gli chiediamo un milione di euro, togliamo la serenità, da un lato, e la possibilità che quel giornalista possa continuare a fare semplicemente il proprio dovere, dall’altro. Noi non chiediamo l’impunità: chi sbaglia deve pagare. Il problema è che, come ci dimostra Ossigeno (un osservatorio sull’informazione ndr), i risultati di quelle loro indagini, che sono i dati del Ministero della Giustizia, ci dimostrano che pressoché il 70% delle querele, poi, alla fine, sono infondate o, addirittura, temerarie. E, allora, non è possibile che il giornalista debba pagare quelle spese legali e debba, soprattutto, perdere quella che è la propria serenità. Ecco perché ci vuole una legge. Lo diciamo da anni. Non l’ha fatta lo scorso Parlamento, lo scorso Governo. Speriamo in questo Parlamento e in questo Governo, affinché il giornalista se sbaglia paga, ma non debba subire querele temerarie. Quindi, il discorso fondamentale è appunto la cauzione. Noi chiediamo che chi querela debba lasciare il 50% di ciò che chiede.

Lei ha fatto nomi e cognomi e per questo è stato destinatario di querele. Si sta però diffondendo la cultura, soprattutto tra chi legge, che chi fa i nomi, in fondo, debba aspettarsele. Cosa pensa in merito?

Il problema è questo ed ho tentato di spiegarlo stasera. Oggi, un giornalista ha una grande responsabilità ed è quella di guardare in faccia ciò che accade e scriverlo. Costa? Costa, provoca grande paura, provoca la possibilità di ricevere delle azioni temerarie o processuali, minacce. Ecco, questo oggi viene accettato come normale. Cioè il prezzo da pagare per quel rischio che si corre. Invece, in un Paese normale, non può e non deve essere così. Il giornalista deve fare il proprio dovere, ovviamente. Deve raccontare, deve fare nomi e cognomi, ma non può assolutamente essere che rischi la vita o che sia costretto a girare sotto scorta o sia costretto a ricevere quelle drammatiche querele temerarie. Non è possibile. La solidarietà, però, non basta più. Dobbiamo fare squadra con tutti quei cittadini, a maggior ragione giornalisti, al di là di Paolo Borrometi. E sono tanti che nelle periferie fanno semplicemente il proprio dovere.

Linda Ferrara

redazione

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