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Fondata sul reddito di cittadinanza

Il governo Conte pare intenzionato a fare sul serio e ad inserire il reddito di cittadinanza nella nuova manovra economica. In fin dei conti si tratterebbe di una promessa mantenuta a fronte di una campagna elettorale largamente incentrata su questo tema. Sono in tanti, in queste settimane, a interrogarsi sulla reale utilità del reddito di cittadinanza: provando ad uscire dalla logica del tifo che vede i sostenitori dell’esecutivo nettamente a favore e i detrattori fieramente contrari, ho provato in questi mesi ad approfondire il tema, cercando di capire come funziona nei Paesi europei in cui è entrato in vigore. In generale, emerge un’oggettiva difficoltà a fare delle valutazioni sul breve periodo, che necessariamente andranno rimandate di qualche anno.

Per quando mi riguarda, credo che il reddito di cittadinanza rappresenti il fallimento delle politiche del lavoro degli ultimi decenni. Le dottrine neoliberiste degli anni ’80 hanno purtroppo colonizzato gran parte delle scelte dei governi occidentali, alimentando le diseguaglianze economiche interne agli Stati e creando evidenti discrasie tra i Paesi di cultura anglosassone o calvinista (maggiormente predisposti a misure di un certo tipo) rispetto a Paesi di cultura latina, che per tradizione e mentalità avrebbero avuto bisogno di altri indirizzi. Al contempo, i tentativi di contrapposizione proposti dagli economisti neokeynesiani si sono rivelati inadeguati per un ripensamento delle politiche di welfare, generando nelle vittime della crisi economica un forte senso di sfiducia verso sindacati e partiti dei lavoratori e la tendenza a preferire ricette economiche alternative, dai più definite “populiste”. A partire dal reddito di cittadinanza: ed è qui che torna il problema del contesto di riferimento, perché una misura economica di questo tipo può effettivamente rivelarsi benefica per la Finlandia, ma rischia di essere inadatta all’Italia.

Ben venga se un beneficiario del reddito di cittadinanza utilizza questo tesoretto mensile (o una sua parte) per programmare nel tempo un investimento su se stesso e il proprio futuro. Ma siamo sicuri che in alcune zone del Paese (il pensiero va inevitabilmente al nostro Sud) non finirebbe per alimentare la tentazione di rinunciare alla ricerca di un impiego o, eventualmente, di preferire il lavoro nero, arricchendo ulteriormente l’economia illegale e il sommerso? Garantire un salario minimo può aiutare molti cittadini attualmente in difficoltà e può effettivamente portare nuove risorse in circolazione: ma siamo sicuri che aumenterà il benessere nazionale? E’ dalle politiche del lavoro che bisognerebbe ripartire, incidendo sui costi di assunzione e offrendo tutele adeguate al popolo delle partite Iva, che continua ad essere trattato come un fattore invisibile pur essendo cresciuto a dismisura negli ultimi anni. In caso contrario – e qui uso volutamente un paradosso – varrebbe quasi la pena andare a smontare l’articolo 1 della nostra Costituzione, proclamando l’Italia “Repubblica democratica fondata sul reddito di cittadinanza”.

Vincenzo Figlioli

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Tags: reddito di cittadinanza