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al Parco di Selinunte la seconda edizione di Sfelux. “Luce” e “Mattanze” con la direzione artistica di Giacomo Bonagiuso

Torna la seconda edizione di Sfelux – “Selinunte Festival della Luce – Migranti, Meticci, Mattanze” proponendo diversi appuntamenti al Parco archeologico castelvetranese. La rassegna vede la direzione artistica del regista Giacomo Bonagiuso con la consulenza di Linda Adorno ed il fattivo supporto del direttore del Parco di Selinunte, Enrico Caruso, Soprintendente dei Beni Culturali di Trapani.

Bonagiuso racconta del ritorno di Sfelux in questo afoso agosto: “Un percorso che valorizzi il Parco Archeologico, restituendo in ogni fase del giorno, in ogni luce, il significato del passato e del futuro all’interno delle coordinate socio culturali del nostro tempo. Gli eventi, tutti collegati tra di loro dalla “metafora” della Luce, riguardano la MUSICA, il TEATRO, la POESIA. Tutti questi percorsi sono scanditi da una “Luce” e da una “luogo”. La luce del giorno attraversa le giornate, e scandisce la storia. Così, il Parco può essere sede di eventi che dall’alba al tramonto, alla notte diventano motivo di vita, di visitazione, in modo esclusivo, assolutamente pensato e progettato per accendere di senso non solo i luoghi che fanno vasta bellezza del Parco, ma anche il mestiere che in esso oggi s’esercita: la ricerca tra le antiche pietre. Portare l’etnos, ovvero la radice del nostro mondo sicano, all’interno della struttura più antica del nostro territorio, il parco di Selinunte, significa compiere un rito di pacificazione e di riunione tra la grecità e la sicilianità. Sicilianità appunto intesa come radice profonda e non come prodotto folclorico, commerciale, alleggerito da ogni veemenza e scambiato come intrattenimento. La ripresa rigorosa degli arcani della nostra lingua – prosegue il direttore artistico -, insieme alla rivisitazione teatrale del suono, della musica e della narrazione, giocano, appunto, un ruolo fondante, nella rappresentazione e appropriazione della identità periferica assunta come modello di vita e di forza. Questa è la potenza dell’ètnos stesso delle nostre contrade, del nostro sangue, delle nostre luci e delle nostre ombre. Come ha scritto Bufalino la Sicilia è lutto e luce, tenebra e abbaglio, delirio e mattanza, rito e fragore: senza tali antitesi, rischieremmo di perdere molto del tema stesso del nostro tempo. Questo è il taglio ideale che il Festival della Luce si prefigge sin dal suo nascere. L’immagine del logotipo di questa edizione rappresenta il fregio di un sarcofago selinuntino, ove è incisa una nave. La nave di Selinunte è appunto il legame tra la migrazione, il meticciato e la mattanza. Una metafora del viaggio e della stessa cultura classica dell’incrocio tra culture, lingue e tradizioni”.

“Grazie alla spinta da me data alla realizzazione dell’evento nel Parco di Selinunte – ha affermato Enrico Caruso – e grazie alla direzione di Giacomo Bonagiuso, il Festival solo al secondo anno di vita, è considerato uno dei punti di forza del Cartellone voluto, creato e sostenuto dall’Ente Parco, che spazia dalla classicità, alla riscrittura moderna, alle tessiture più giovani e presenti in una unità inscindibile e prismatica di luce, ombra e contemporaneità. “Un modo per restituire Selinunte al mondo in una plurima chiave di rappresentazione tra presente, passato e futuro”. 

Questi gli appuntamenti:

all’alba (ore 05.30) di domenica 19 agosto, al Tempio di Hera, si terrà lo spettacolo “Napordu” di Ezio Noto. Il Napordu (Onopordo, Onopordum Illyricum) è una pianta, una spina che resiste verde e rigoglioso quando tutto in Sicilia è arso, nero, giallo, secco, “paschera”. Spinoso, lo devi maneggiare con cura, sbucciandolo e mangiando il suo cuore verde, ti toglie lo stimolo della fame e ti disseta. Ha un bellissimo fiore in testa. Per me è la metafora perfetta di chi resiste a fare arte in questa terra arsa, per chi cerca la bellezza nell’arte. Il Festival della luce è una crepa che riesce a far passare la luce. “C’è una crepa in ogni cosa, è da lì che entra la luce” Leonard Cohen. Napordu è un progetto creativo pensato per il Festival della Luce 2018 che prevede la partecipazione di musicisti, un pittore, uno scultore, una danzatrice e alcuni attori: sulle musiche di Ezio Noto dal vivo, si esprimeranno dal vivo i diversi artisti in una esplosione di creatività, consapevolezza, incoscienza, improvvisazione. Singolarmente, a sezioni, tutti in ensemble. Un “tappeto” sonoro che accoglierà tutti in una “fusione”, “contaminazione” di arti: musica, teatro, danza, pittura, scultura;

al tramonto (ore 18) di domenica 26 agosto al Santuario di Demetra Malophoros si terrà lo spettacolo “Mobidicchi” di Giacomo Bonagiuso. Da più di un secolo e mezzo uno spettro si aggira nelle acque extraterritoriali della letteratura: “Moby Dick”. Un testo che affonda la penna nel male profondo, nei mostri, nei fantasmi delle anime umane e disumane. Achab, il capitano, cerca la fine, nel segno di una insensata vendetta, una faida, che certamente coinvolge la sua stessa esistenza e non certo un grande cetaceo, la balena. “La balena non ti cerca, sei tu che cerchi lei!” – così l’equipaggio del Pequod cerca di far rinsavire il capitano. “Mi ha sempre sconvolto questa storia – spiega Giacomo Bonagiuso- che ho pensato di prenderne spunto per una riscrittura in siciliano arcaico, che tenesse conto del viaggio attorno all’uomo. Ne è venuto fuori un testo furioso, che costringe a fare i conti con i propri demoni. Volevo ritmi frenetici e parole risuonanti, volevo una struttura internazionale pur facendo parlare idiomi arcaici, insomma volevo che lo spettacolo diventasse uno specchio collettivo dove guardare per spogliare ogni vanagloria. Con Mobbidicchi il re è nudo. Il male è “ a siccu”, non a mare. D’altronde, se esiste un testo che descrive il viaggio nel male radicale che attanaglia l’uomo e il suo cieco dolore, quello è proprio il “Moby Dick” di Melville, una sorta di Iliade della letteratura american, che oggi, in questa riscrittura diventa anche segno linguistico profondo della nostra oscura radice;

la sera (ore 19) di domenica 2 settembre al Tempio di Dioniso si terrà lo spettacolo “Mattanze. Saga e Cialome” di Mario Modestini. La Mattanza. Quale migliore accostamento per coniugare l’amore con la morte? L’amore nel suo dato istintuale (il dolce odore d’inguine, la morte come fatto sacri cale). Morte ritualizzata e fonte di ricchezza: I tonni migrano nel tempo della riproduzione: è l’inizio della primavera, per gli uomini è tempo di bottini, per essi è tempo di morte. “Il Melos della sequenza narrativa che trama “scalmi e leggende”, è pensato come arresto compositivo che con dolore cerca di assolvere crudeltà per bisogni e necessità d’ataviche usanze. A mare! Nella camera del disincanto dove l’infoiata innocenza ferale, inesorabilmente si piega alla feroce curva di un ingrato destino.” “Mattanze” nasce dal quel forte rapporto che Mario Modestini ha sempre avuto con le leggende ed i misteri del mare e che già nel 1979 si era esplicato nella “Ballata del Sale” uno straordinario intreccio di musiche e racconti ispirato alle storie del mare ed alle mattanze e cucito addosso alla gura di RosaBalistreri. Ed è proprio alla indimenticabile cantastorie siciliana che Modestini dedica “Mattanze”, opera pensata come concerto in forma d’Oratorio. Già rappresentato al teatro Politeama con l’Orchestra Sinfonica Siciliana, è stata ripensata in esclusiva per il Festival con ripieno bandistico (Banda di Salemi diretta dal M° Rosario Rosa).

Ingresso agli spettacoli euro 10; riduzione a 8 Euro per gruppi in prevendita, bambini 5 euro
NB Lo spettacolo Mobbidicchi avrà un prezzo di biglietto ridotto, poiché per recarsi a Malophoros, saranno disponibili dall’Acropoli di Selinunte trenini elettrici privati che prevedono il pagamento di un biglietto a parte

redazione

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Tags: BonagiusoSfelux