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Rita Atria e le nostre coscienze

Ci sono due donne, entrambe nate in provincia di Trapani, che hanno scritto pagine estremamente importanti nella storia siciliana. In un contesto sociale a lungo segnato da arretratezza culturale e omertà, le donne sono state considerate per tanto tempo soltanto nella loro funzione familiare: figlie, sorelle, moglie, madri. La loro realizzazione passava dal focolare domestico e qualsiasi altra ambizione faticava ad essere socialmente accettata.

Poi da Alcamo arrivò Franca Viola a insegnare all’Italia che si poteva denunciare la violenza del rampollo di un boss mafioso, contravvenendo alla tradizione del matrimonio riparatore che sembrava destinata a protrarsi all’infinito. Una vicenda che di fatto ha segnato un prezioso spartiacque nella storia del diritto e del costume del nostro Paese, così come quella che vide protagonista Rita Atria, che – assieme alla cognata Piera Aiello – insegnò all’Italia che da un piccolo centro della Valle del Belice come Partanna si poteva interrompere una lunga tradizione che inquadrava le donne in una cornice di silenzio e obbedienza rispetto ad un contesto criminale e mafioso, in cui non era previsto alcuno spazio di dissenso o ribellione.

Era un’adolescente, Rita Atria, quando affidò la sua vita nelle mani di Paolo Borsellino e dei magistrati della Procura di Marsala. Ma non immaginiamo un’adolescente di oggi, educata ai valori dell’autodeterminazione e della parità di genere. Né la Partanna di allora era quella che ogni 26 luglio ricorda questa sua “figlia ribelle” con le bandiere di Libera e la presenza delle istituzioni. I valori che Rita Atria aveva respirato fin da bambina erano ben diversi. Eppure fu capace di uscire dalla spirale dell’odio e delle vendetta dopo la morte del padre e del fratello per intraprendere un percorso di adesione alla logica della legalità e della giustizia. Il suo fu un cammino doloroso e lacerante, ma Rita Atria seppe resistere anche al ripudio subito dalla madre e dal resto della sua famiglia. Purtroppo non seppe resistere alla morte di Paolo Borsellino, decidendo di togliersi la vita il 26 luglio del 1992, ad una settimana dalla Strage di via D’Amelio.

Non aveva compiuto ancora 18 anni, Rita Atria, eppure la potenza del suo esempio continua a disseminare frutti preziosi per il territorio. Le sue rivelazioni sulla mafia locale hanno consentito indagini importanti, mentre il suo coraggio e le sue parole continuano a scuotere le coscienze dei giovani siciliani. “Prima di combattere la mafia – scrisse Rita Atria – devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”.

Una riflessione dolorosa quanto preziosa, che nel giorno del 26° anniversario della morte di questa “siciliana ribelle” faremmo bene a ripetere a noi stessi, per comprendere se le nostre coscienze sono davvero così libere da qualsiasi residuo di mentalità mafiosa.

Vincenzo Figlioli

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Tags: Franca ViolaRita Atria