Parte con una citazione di Papa Francesco l’ultima relazione sulle organizzazioni criminali diffusa in queste ore dalla Direzione Investigativa Antimafia e già consegnata al Ministero degli Interni. Un corposo documento di 386 pagine che sintetizza il lavoro svolto nel secondo semestre del 2017 e indica alcune priorità strategiche nell’opera di contrasto alle mafie sul territorio nazionale.
Nel ricordare l’audizione speciale concessa da Papa Francesco alla Commissione Antimafia lo scorso 21 settembre, la Dia sottolinea le parole del Santo Padre nei confronti della lotta alla corruzione e della necessità che la politica adotti strumenti efficaci per una maggiore giustizia sociale, “perché le mafie hanno gioco facile nel proporsi come sistema alternativo sul territorio proprio dove mancano i diritti e le opportunità”. Infine l’auspicio di “una nuova coscienza civile”, per una “vera liberazione dalle mafie”.
Al contempo, la Dia fa riferimento agli Stati generali della lotta alla mafia, “a seguito del quale sono state definite vere e proprie linee di policy dell’antimafia che investono i mondi della cultura, civile, economico, sociale e giuridico-normativo, la cui valenza appare ancor più tangibile se considerata unitariamente rispetto a una serie di importanti provvedimenti legislativi di settore che nel semestre hanno interessato l’ordinamento nazionale e conseguentemente la DIA”. In particolare, si citano le nuove norme antiriciclaggio, l’ampliamento dei soggetti destinatari di misure di prevenzione patrimoniale e il rafforzamento della centralità della stessa DIA.
L’ultimo semestre del 2017 è stato anche segnato, mediaticamente e simbolicamente, dal decesso dello storico boss corleonese Totò Riina. Ecco quanto si legge a riguardo, alla voce “Linee evolutive del fenomeno mafioso”: “Per quanto cosa nostra, dopo la morte di Salvatore Riina, stia attraversando una fase di riassetto degli equilibri interni, è ragionevole ipotizzare che un “organismo collegiale provvisorio”, con funzioni di consultazione e raccordo strategico e costituito dai capi dei mandamenti palermitani più rappresentativi, continui ad esprimere una linea-guida nell’interesse comune, specie se volta a regolare le scelte affaristico-imprenditoriali, alcune delle quali, come visto nell’operazione “Beta”, condivise anche con altre organizzazioni mafiose”.
Resta valido quanto emerso in precedenza in merito al “core business” di cosa nostra, legato alle estorsioni, agli appalti, al mercato della droga, alle infiltrazioni nel mondo imprenditoriale, commerciale e politico. Contestualmente, cresce l’interesse intorno al settore dei rifiuti (“Una particolare attenzione va posta, poi, sulla gestione dei rifiuti solidi urbani che, nella provincia di Palermo, così come nel resto della Sicilia, è connotata da caratteri di problematicità risalenti nel tempo. La situazione complessiva evidenzia un sistema di conferimento e di smaltimento dei rifiuti contraddistinto da numerose fasi emergenziali. Già in passato, infatti, sfruttando le periodiche emergenze, si sono evidenziate infiltrazioni nella filiera dei rifiuti attraverso amministratori pubblici, che hanno favorito società del settore riconducibili ad esponenti mafiosi”).
A seguire, pubblichiamo quanto scrive la Dia sulla mafia in provincia di Trapani:
La provincia di Trapani è storicamente caratterizzata dalla forte pervasività, nel tessuto economico e sociale, delle consorterie mafiose che, facendo leva su una diffusa situazione di disagio sociale – dovuta ad una tradizionale, limitata presenza di iniziative economico-produttive e aggravata dalla generale e perdurante crisi economico-finanziaria – continua a trovare terreno fertile nella possibilità di reclutamento di manovalanza e in un contesto ambientale ancora, in parte, incline all’omertà.
La struttura di cosa nostra trapanese si conferma articolata in 4 mandamenti (Alcamo, Trapani, Mazara del Vallo, Castelvetrano), che raggruppano complessivamente 17 famiglie, le quali esercitano la propria influenza su uno o più centri abitati della provincia. Le caratteristiche di cosa nostra trapanese […] non divergono da quelle palermitane, evidenziando analoghe strutture organizzative (unitarie e verticistiche, basate sulle stesse regole tradizionali), medesime modalità di suddivisione del territorio, uguali settori d’interesse e strategie operative. Tutte le citate frange di cosa nostra, ma soprattutto quella trapanese, agiscono in sostanziale sinergia con le famiglie palermitane, con una tale comunione di obiettivi da ricondurle quasi sotto un’unica realtà criminale.
[…] Si registrano momenti di difficoltà dovuti agli “avvicendamenti criminali” determinati dall’azione dello Stato, esercitata sia sul versante preventivo che su quello repressivo e spesso connessa alle ricerche del noto latitante Matteo Messina Denaro. Questi, rappresentante provinciale, continua ad essere il principale ricercato di cosa nostra. L’incessante attività di ricerca ha continuato a decimarne i favoreggiatori ed a sottrarre dalla sua disponibilità ingenti patrimoni economico-finanziari. In effetti, la rilevante entità dei beni sequestrati a suoi prestanome, o comunque a soggetti in accertati rapporti con la sua famiglia di sangue o di appartenenza mafiosa, fornisce un’indicazione del potere di penetrazione economica e della capacità affaristica di cui negli anni è stato capace. Un potere che, sebbene rispecchi un trend affaristico in decremento, ha potuto contare sulla collaborazione di una pluralità di soggetti, anche insospettabili. In tal senso, nel periodo in esame è proseguita l’attività ablativa da parte della Direzione Investigativa Antimafia. Il 15 novembre 2017 è stato disposto il sequestro del patrimonio mobiliare, immobiliare e societario (stimato complessivamente in 10 milioni di euro) riconducibile ad un commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti di valore storico–archeologico (Giovanni Franco Becchina), originario di Castelvetrano, già titolare di imprese operanti in Sicilia nei settori del cemento e dei prodotti alimentari. Per oltre un trentennio egli avrebbe accumulato ricchezze con i proventi del traffico internazionale di reperti archeologici, molti dei quali trafugati nel sito di Selinunte da tombaroli al servizio di cosa nostra, ed in particolare del noto boss mafioso Francesco Messina Denaro, poi sostituito dal figlio Matteo.
Cosa nostra appare, dunque, ancora capace di condizionare lo sviluppo della provincia, soprattutto per le sue ingerenze nel campo dell’imprenditoria, in particolare nel settore dei pubblici appalti, della filiera dell’agroalimentare, delle fonti energetiche alternative, dell’emergenza ambientale, dei finanziamenti pubblici alle imprese e delle strutture ricettivo-alberghiere. L’organizzazione mafiosa non rinuncia a reinvestire i proventi illeciti nell’economia legale, acquisendo, attraverso prestanome e intermediari compiacenti, imprese e attività commerciali. Queste ultime, tra l’altro, spesso operano in modo irregolare (ad esempio, evadendo le imposte ed i contributi dovuti, assumendo personale “in nero” o non pagando i propri fornitori), attuando così una concorrenza sleale che depaupera il tessuto produttivo sano. La persistente vitalità e operatività di cosa nostra trapanese trova conferma anche in una forte propensione alle attività estorsive, le quali costituiscono, ancora, da un lato il sistema più immediato per far fronte alle esigenze economiche dell’organizzazione, dall’altro una modalità pervicace di controllo del territorio, che consente di affermare la propria autorevolezza criminale. Nel periodo in esame sono continuati gli atti intimidatori e i danneggiamenti seguiti da incendi ai danni di alcuni operatori economici (commercianti, imprenditori), i quali, secondo un modello consolidato, sono sintomatici della pressione estorsiva esercitata sul territorio dalla criminalità organizzata.
Oltre che nel tessuto economico-sociale, le consorterie mafiose trapanesi sono dotate di una pervasiva capacità di penetrazione dell’attività politico-amministrativa. A tal proposito, si rammenta che nel semestre prosegue la gestione commissariale del Comune di Castelvetrano, deliberata il 6 giugno 2017 per un periodo di diciotto mesi, “…per accertati condizionamenti dell’attività amministrativa da parte della criminalità organizzata”.
Per quanto concerne il settore delle sostanze stupefacenti, benché nella seconda parte del 2017 non si siano registrate operazioni di polizia che abbiano visto il coinvolgimento diretto di cosa nostra, lo spaccio di droga continua a destare particolare allarme sociale. Inoltre, emerge in tutta la sua gravità il fenomeno della coltivazione di piante di cannabis, che negli ultimi anni ha fatto registrare un incremento.
Non sono, infine, mancati episodi omicidiari caratterizzati da particolare efferatezza. Il 6 luglio è stato assassinato a Campobello di Mazara, verosimilmente ad opera di due killer, un soggetto (Giuseppe Marcianò) ritrovato accanto ad un’automobile data alle fiamme. Le modalità di esecuzione e gli stretti rapporti di parentela della vittima con esponenti di spicco della criminalità organizzata, ascrivono ragionevolmente l’omicidio ad ambienti di mafia.