Da rifugiati a rifiutati a rifiuti il passo è breve. Lo sanno bene, perché lo hanno vissuto e lo vivono in queste ore sulla propria pelle i 40 superstiti salvati dalla Trenton, nave militare della sesta flotta dell’Us Navy che martedì mattina ha soccorso un gommone di migranti che si era rovesciato in mare. Si devono essere sentiti proprio dei rifiuti quando hanno visto rigettare in mare i 12 cadaveri dei loro compagni di viaggio perché la Trenton non è fornita di celle frigorifere a bordo e l’equipaggio, di fronte all’ostracismo annunciato del Ministro dell’interno italiano Matteo Salvini a qualunque nave delle Ong si avvicini alle coste italiane, non ha avuto altra scelta.
E rifiutati/rifiuti si devono essere sentiti i 629 migranti – di cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte – ospiti dell’Aquarius quando, dopo un viaggio fatto di traversate nel deserto, stupri, violenze, privazioni, digiuni, una lunga e incerta traversata in mare, quando ormai si sentivano al sicuro, sono stati avvertiti dal personale della Ong che li ha tratti in salvo che l’Italia si rifiutava di accoglierli, Malta si rifiutava di accoglierli, gli stati dell’Unione Europea tutti, Francia, Germania, Spagna, si rimbalzavano responsabilità e accuse ma non decidevano sul da farsi, lasciandoli di fatto in balia delle onde. Dicendo tutti all’unisono “non è affar nostro”. “Non ci riguarda”. “Se la vedano gli altri”. E questo con un ampio consenso popolare da parte degli italiani e degli altri popoli europei.
Quando ho saputo di queste 629 persone a cui veniva inflitta l’ennesima ingiuria di sentirsi rifiutati, messi alla porta come estranei all’umanità, ho pensato subito alle parole che Gilbert Sinoué scrisse per descrivere la condizione dei rifugiati: “Quando fossero stati sulla nave, non sarebbero più appartenuti a nessun luogo e a nessuna nazione. Nessuna terra sarebbe stata la loro […] Si sentiva lacerato come un foglio strappato da un quaderno”.
Il libro da cui ho tratto queste parole è “Una nave per l’inferno” e racconta la storia vera della St. Louis, una nave da crociera tedesca che il 13 maggio 1939 salpò da Amburgo con a bordo 936 ebrei.
La storia è questa. La notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 gli ufficiali del Partito Nazista, i membri della SA e della Gioventù Hitleriana, con la compiacenza di polizia e vigili del fuoco, avevano attaccato e distrutto migliaia di sinagoghe, cimiteri, negozi, uffici e case private di proprietà di ebrei in numerose città tedesche. Il bilancio, di quella che passerà alla storia come “La notte dei cristalli” per la quantità di vetrate rotte nei quartieri ebraici, sarà di circa 200 vittime in ventiquattro ore e la deportazione di circa 26.000 ebrei. Dando avvio alla parte più cruenta della persecuzione antisemita condotta dal nazismo.
A seguito di tutto ciò si sollevò la protesta della comunità internazionale contro la Germania Nazista, bollata definitivamente come razzista e xenofoba.
Goebbels, che era stato anche il principale fautore della “Notte dei cristalli”, decise di comune accordo con Heydrich e Goering e la benedizione del Fuhrer, di autorizzare gli ebrei a lasciare liberamente il territorio tedesco, in cambio naturalmente della confisca di tutti i beni e depositi bancari.
Gilbert Sinouè racconta: “Goebbels comunicò che una prima nave con un migliaio di passeggeri avrebbe presto preso il mare. L’operazione aveva un doppio scopo: da un lato, avrebbe fornito al mondo la prova che
la Germania non si opponeva in alcun modo alla partenza degli ebrei e che non voleva perseguitarli […] in realtà, ma solo i muri del salotto privato […] l’avevano sentito, quella decisione era solo provvisoria: ben presto si sarebbe trovata una vera soluzione al problema ebraico. Una soluzione definitiva”.
Ma interessante e pieno di spunti per leggere il presente è il dialogo che Sinouè immagina svolgersi tra Goering e il ministro della propaganda Goebbels:
“Non riesco a capire dove stia il nostro interesse in tutta questa storia”, intervenne Goering.
A Goebbels sfuggì una risatina.
“È molto semplice. Lasciandoli partire, proveremo al mondo che non perseguitiamo gli ebrei come dicono. Ma soprattutto, e questo è il nocciolo di tutta la manovra, dimostreremo che le loro prediche non valevano più di un peto di cavallo. Gli altri paesi alzano la cresta e starnazzano come galline, ma quando sarà il momento nessuno di loro si assumerà la responsabilità di accogliere i rappresentanti di questa sottorazza. A quel punto avremo completa libertà d’azione: nessuno oserà più farci la minima critica!”.
La nave di cui parla Goebbels è la Saint Louis, la nave da crociera tedesca comandata dal comandante Gustav Schroder, che il 13 maggio del 1939 lasciò Amburgo alla volta di Cuba, con 937 persone a bordo. La maggior parte erano ebrei, alcuni appositamente rilasciati dai campi di concentramento, convinti di essersi ormai lasciati alle spalle la malvagità umana.
Ma, una volta in prossimità delle coste di Cuba, allora vero e proprio protettorato Statunitense governato dal corrotto Federico Laredo Brù, ecco la prima tremenda sorpresa che li attende. La prima di una serie. Cuba si rifiuta di accoglierli e li costringe a fermarsi al largo. L’isola è infatti percorsa da affollatissime manifestazioni contro gli ebrei, accusati di venire lì a rubare il lavoro ai cubani. Dopo giorni di attesa e trattative serrate tra diplomazie, associazioni ebraiche e governo cubano, solo 28 passeggeri vengono lasciati scendere e fatti entrare nel paese con il visto di “turisti” ed un pagamento di una tangente da 150 dollari cadauno.
Renato Polizzi