Categorie: AperturaMarsala

Mafia e droga sull’asse Partinico-Marsala: nuova pista per l’omicidio Mirarchi?

C’è un filo che potrebbe legare l’omicidio del maresciallo Silvio Mirarchi agli interessi della mafia di Partinico. Secondo il collaboratore di giustizia Sergio Macaluso, a lungo reggente del mandamento mafioso di Resuttana, nel palermitano, la famiglia mafiosa partinicese a un certo punto decise di spostare parte dei propri interessi nel business della droga sul territorio di Marsala.

A Partinico, infatti, le coltivazioni di marijuana erano diventate sempre di più: da un lato quelle indoor, allestite all’interno di appartamenti e difficilmente individuabili dall’esterno; dall’altro quelle realizzate nelle serre all’aperto, che però erano diventate facilmente visibili per gli elicotteri della Guardia di Finanza, la cui attività di controllo era cresciuta di intensità. Da qui, per la mafia di Partinico, la necessità di individuare una location alternativa, più facile da occultare rispetto alle indagini delle forze dell’ordine. Marsala, per le caratteristiche del suo territorio, notoriamente vasto e difficilmente controllabile nelle aree periferiche, poteva essere il posto giusto per raggiungere questo scopo.

Secondo quanto affermato da Macaluso, i contatti con il territorio lilybetano li avrebbero condotti il nipote Francesco Lojacono e Francesco D’Arrigo (suocero di Lojacono). Entrambi sono stati coinvolti nel processo per coltivazione di droga in cui sono stati imputati anche Fabrizio Messina Denaro e Nicolò Girgenti, a sua volta accusato (in concorso) anche dell’omicidio del maresciallo Mirarchi.

Le dichiarazioni di Macaluso potrebbero a questo punto disegnare nuovi scenari in cui non è da escludere una sinergia o comunque un’interlocuzione tra le famiglie mafiose di Partinico e quelle di Marsala nella spartizione degli affari legati alla coltivazione e al traffico di sostanze stupefacenti. Un business prezioso per la malavita, che andava protetto dalle attività di indagine delle forze dell’ordine con apposite attività di guardiania, verosimilmente affidata a uomini scelti da chi conosce (e forse controlla) il territorio. Ed è qui, probabilmente, che potrebbe risiedere un’utile chiave di lettura nella definizione dello scenario in cui si consumò, la notte del 31 maggio 2016, la sparatoria in cui fu ferito mortalmente Silvio Mirarchi, nei pressi di una serra adibita proprio alla coltivazione di canapa, in contrada Ventrischi. I ricordi di quelle drammatiche giornate in cui Marsala finì tristemente all’attenzione delle cronache nazionali, riportano alla mente anche un servizio del giornalista palermitano Davide Camarrone del Tg3 Regione, che parlò di Marsala di una nuova Medellin, facendo riferimento a una possibile trasformazione in atto dell’economia cittadina, le cui coltivazioni storiche nel settore della serricoltura stavano lasciando spazio ad altro tipo di colture, decisamente più remunerative per chi si arricchisce in maniera illegale. Lo stesso generale dell’Arma dei Carabinieri, venuto per i funerali di Mirarchi, parlò della vicenda come di un “omicidio di mafia”. Tutto ciò finchè, di settimana in settimana, il riferimento a Cosa Nostra cominciò improvvisamente a scomparire dalle cronache di questo delitto.

Nel frattempo, come anticipato nei giorni scorsi, durante l’ultima udienza del processo per l’omicidio del vicecomandante della Stazione di Ciavolo, il giudice Grillo aveva ritenuto ammissibile la richiesta dell’avvocato Genny Pisciotta (legale di Girgenti) di ascoltare Macaluso anche nel corso di tale procedimento, fissando per l’11 giugno l’udienza in cui verrà interrogato il collaboratore di giustizia.

Vincenzo Figlioli

I commenti sono chiusi.

Condividi
Tags: Omicidio Mirarchi