Era l’ottobre del 2015 quando abbiamo scoperto che mia madre era affetta di un carcinoma anale. “Una cosa risolvibile nel tempo” questo è quello che ci hanno detto tutti i medici. E così è iniziato il calvario, inizialmente ha fatto delle radio concomitante con delle chemio che sono riusciti in parte a risolvere il problema.
Dopo questo percorso anziché intervenire chirurgicamente e risolvere il problema del tutto, hanno preferito sperimentare sul corpo di mia madre, iniziando un altro tipo di chemio che ha peggiorato la situazione facendo sì che la massa tumorale aumentasse più del doppio. Quando si accorsero, dopo i vari esami, di quello che stavano combinando hanno deciso di fare una chemio più tosta, poiché chirurgicamente era oramai impossibile intervenire, a detta loro. Così ci ritroviamo a Settembre del 2017: mia madre inizia a fare questa chemioterapia, che altro non era se non la distruzione del suo corpo e di “se stessa”; iniziamo però ad ottenere i primi risultati, che riempivano il cuore a tutti noi familiari e che davano forza a quella tigre che era mia madre, fiduciosa di poter tornare a vivere e non solo sopravvivere. Poi arriva il 3 gennaio del 2018, mia madre inizia ad accusare forti crampi allo stomaco, vomita e ha una diarrea acuta. Chiamiamo così il 118, che risulta impegnato nelle prime 6 telefonate, dopo averlo rintracciato ed essere venuti a casa, il medico di turno decide di non portarla in ospedale ma di fare solamente delle flebo, perchè secondo loro non necessitava di altri controlli. Ed è così che terminando le flebo riiniziano i crampi allo stomaco che risultavano essere insopportabili, di conseguenza decidiamo di richiamare il 118 che questa volta decide di portare in ospedale la paziente perchè ad occhio nudo capiscono che si deve andare a svuotare la vescica.
Arrivando al pronto soccorso mia mamma riceve inizialmente un codice “verde”, che viene solamente cambiato quando i medici iniziano a ricevere delle lamentele da parte nostra, e così tutto ad un tratto il codice diventa “giallo”, ma la situazione non cambia, perché mia madre continua comunque a rimanere in barella e ad avere dolori. Dopo continue lamentele, diventate, poi, anche un tantino ineducate, il medico di turno, che ha portato un ritardo dicirca 15 minuti per il suo rientro a lavoro, decide di chiamare i carabinieri. Quest’ultimi, arrivati al pronto soccorso, non hanno fatto altro che anticipare i tempi. Così mia madre viene portata in urologia per fare un’ecografia, con quest’ultima vedono con chiarezza che la vescica era estremamente vuota. Decidono così di fare soltanto delle flebo, degli esami di routine e di mandarla a casa, senza approfondire il motivo per cui avesse la pancia gonfia, il continuo vomitare e ad avere crampi così forti.
Il giorno seguente, quindi 4 gennaio del 2018, decidiamo, insieme al chirurgo che seguiva mia madre da pochi mesi e voglio precisare che stava cercando di risolvere i problemi creati da un medico di Marsala che l’aveva seguita in passato, di portarla al policlinico di Palermo, chiamiamo così un ambulanza privata appartenente a Marsala, che arrivata a Palermo lascia mia madre e mio padre “suo accompagnatore” al pronto soccorso del Civico e non del Policlinico, nonostante l’avessimo ribadito svariate volte e nonostante avessimo pagato profumatamente quel viaggio.
Una volta arrivata lì, i miei genitori vengono lasciati al pronto soccorso, e l’ambulanza si allontana immediatamente confermando di essere nel luogo giusto, ovvero di essere al policlinico.
Mia madre, che non poteva camminare, è dovuta stare li fin quando mio padre non ha trovato un’ altra ambulanza privata che li portasse al pronto soccorso del Policlinico. Nel frattempo erano passate più di quattro ore, mia mamma continuava a stare male e quindi i medici del pronto soccorso decidono di farla salire direttamente nel reparto. Hanno iniziato a darle aiuto, ma nonostante questo mia mamma continuava a vomitare, così fanno la tac l’8 gennaio, dove si accorgono che oramai era un pó complicato riuscire a salvarla perché aveva già da giorni in corso un infarto intestinale, possibilmente dovuto alla chemio. Mia mamma è deceduta lo stesso giorno, all’età di 46 anni, lasciando due figli tra cui uno ancora minorenne.
Oggi ho deciso di raccontarvi la storia di mia madre, non perché mi faccia piacere, ma per parlare della malasanità che ancora una volta colpisce Marsala. Ho raccontato l’accaduto con un risvolto purtroppo negativo perché mi sento quasi in dovere di essere portavoce per tutte quelle persone, che come mia madre si trovano nella stessa situazione, e dire di combattere, di non arrendersi, di lottare ed agire consapevoli che prima di affidarsi ad un medico bisogna davvero capire le sue ‘buone’ intenzioni. Ad oggi io non voglio accusare nessuno, perché non mi sento di essere un giudico ma chiedo umilmente di essere prudenti e professionali difronte la vita di una persona, perché so quanto vale una vita. Davanti a tutto questo, spesso volte, mi sono chiesta quanto è importante avere una struttura ospedaliera efficiente con un personale idoneo, e sinceramente io oggi, non sono riuscita a dare un giudizio positivo all’ospedale di Marsala.
Mi sono anche chiesta, se sotto quella divisa di medico ci sia un po’ di umanità, perché forse basterebbe questo per fare andare meglio le cose.
Giusy Di Gregorio