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Processo Perricone: sentiti i consulenti tecnici sulla contabilità della CEA

Nel corso dell’udienza, svoltasi ieri mattina presso l’Aula Giangiacomo Ciaccio Montalto del Tribunale di Trapani, dinanzi al giudice Piero Grillo, si è svolto l’esame dei testi che hanno analizzato tutta la documentazione sequestrata dalla Guardia di finanza sulla contabilità relativa alla Cea, società associata del Consorzio Veneto, capofila dell’ATI che si era aggiudicata nel 2005 l’appalto per i lavori di potenziamento del porto di Castellammare del Golfo.

Si è tenuto ieri presso il tribunale di Trapani l’esame dei due consulenti tecnici incaricati dalla Procura, nel novembre 2013, allora guidata da Ambrogio Cartosio, di svolgere l’analisi sulla documentazione contabile sequestrata dalla fiamme gialle presso i locali della CEA, la società fondata nel 1969 dal padre dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, accusato nel procedimento giudiziario in corso, tra altri reati, di bancarotta fraudolenta. I commercialisti Giuseppe Russo e Davide Randazzo sono stati, dunque, interrogati dal pubblico ministero, la dottoressa Rossana Penna, che ha condotto l’inchiesta “Affari sporchi” nell’ambito della quale sono stati raggiunti dalla misura di custodia cautelare, eseguita nel maggio del 2016, oltre allo storico esponente del PSI alcamese, diversi soggetti, tra cui la cugina Mary Perricone, la sodale Marianna Cottone, il funzionario del centro per l’impiego di Alcamo Emanuele Asta, tutti coimputati nel processo.

I due consulenti tecnici, dopo avere svolto il compito affidatogli dai magistrati trapanesi, hanno stilato il risultato della loro analisi in una documentazione composta da due parti, oltre ad una relazione integrativa, e depositata dal PM. Tra le carte presentate sono state incluse anche: l’esito di tre ordini di esibizione alle banche, il verbale dell’incarico dei consulenti e una nota della polizia tributaria, del novembre 2014, sugli assegni sequestrati alla CEA.

La prima parte della documentazione analizzata dai consulenti contabili ha riguardato il fallimento della società Nettuno, esecutrice dei lavori del porto di Castellammare del Golfo, relativi ad un primo stralcio e appaltati nel 2005 ad un’ATI (Associazione temporanea di imprese), per circa 18 milioni di euro (più 4 milioni e mezzo di migliorie). L’ATI era guidata dal Coveco, un Consorzio Veneto famoso per essersi occupato della realizzazione del Mose di Venezia, e dalle imprese locali Comesi e Cogem. I commercialisti Russo e Randazzo, nello specifico, hanno ricostruito il rapporto esistente tra Coveco, il cui presidente era all’epoca Franco Morbiolo, e la sua associata, la Cea srl (secondo l’accusa amministrata occultamente da Pasquale Perricone). L’associazione tra il Consorzio Veneto di cooperative, che sostanzialmente si aggiudica gli appalti e distribuisce i lavori alle associate, e la società amministrata da Rosario Agnello, considerato “testa di legno” di Pasquale Perricone dalla Procura trapanese, è avvenuta nel 2004. A guidare tale negoziato, secondo la ricostruzione degli inquirenti, è stato proprio l’ex vicesindaco di Alcamo. Dunque, il COVECO ha demandato l’assegnazione della propria quota di lavori alla sua associata locale, la Cea per l’appunto, che operava nel settore delle costruzioni e con la quale si rapportava da decenni per altri lavori pubblici, ma che non faceva parte dell’ATI costituita per l’esecuzione dei lavori di potenziamento del porto di Castellammare. Le quote dell’ATI erano state così suddivise tra le imprese: 55% Coveco; 25% Comesi; 20% Cogem. Una delle prime anomalie riscontrate dai consulenti tecnici ha riguardato l’assenza di un’articolata istruttoria sulla situazione della società CEA, la quale avrebbe dovuto essere finanziariamente sana al momento della sua richiesta di associazione al COVECO. Infatti, nel regolamento del Consorzio Veneto alle società associate vengono richiesti dei requisiti, come la capacità e la copertura finanziaria, in modo da garantire il normale svolgimento dei lavori. Interpellati dal pubblico ministero sul possesso di tali requisiti da parte della società che aveva inoltrato istanza, i due consulenti tecnici, che hanno svolto l’analisi contabile su CEA anche negli anni precedenti all’associazione con Coveco, hanno affermato che detta verifica ha portato alla luce una situazione contabile negativa della società. Per eseguire i lavori del porto di Castellammare del Golfo, come raccontato in altra occasione (http://www.itacanotizie.it/processo-perricone-2/) è stata fondata nel 2007 la Nettuno a.r.l., un consorzio di imprese all’interno del quale figurava la CEA. Presidente del consiglio di amministrazione era stato nominato Rosario Agnello, già rappresentante legale della CEA per l’appunto. Dai pagamenti della stazione appaltante, ossia il Comune di Castellammare del Golfo, Coveco a sua volta emetteva fatture per 13 milioni e 500 mila euro, tutte riversate alle consorziate. La Comesi ha invece emesso solo due fatture, del primo e secondo Sal ( Stato avanzamento lavori). Cea ha incassato 9 milioni di euro, tranne l’ultimo SAL da Coveco, trattenuto verosimilmente perché vantava dei crediti nei confronti di questa. Tutti gli incassi dovevano essere stornati alla Nettuno, cosa che non è accaduta. Infatti, sia la Cea, sia la Cogem e la Comesi, non hanno riversato le somme alla Nettuno, che operava come unico centro di imputazione dei costi, acquistando servizi per conto delle consorziate e che, dunque, alla fine fallisce. La società Nettuno ha chiuso il bilancio con un passivo di 6 milioni di euro ( incluso 1 milione e 800 mila euro dell’esattoria), nonostante vantasse crediti dalle imprese consorziate per 1.779.236,92 euro da CEA, 679.467,37 euro da Cogem e dalla Comesi, che nel frattempo aveva ceduto il ramo aziendale alla Taomar, per 720.596,29 euro. Se le consorziate avessero pagato la Nettuno fino al 13° Sal, nel maggio del 2010, quando la guardia di finanza ha sequestrato il cantiere del porto di Castellammare, per un’indagine sulle false fatturazione di pubbliche forniture, la società avrebbe realizzato delle eccedenze. Altra anomalia riscontrata dai consulenti è consistita nell’intervento della COVECO nei pagamenti verso terzi per conto della Nettuno. In particolare, nel caso di un credito di 800 mila euro vantato dall’azienda Scuttari, che si era occupata della fornitura di un pontone che serviva per sollevare i massi e posarli in mare. Anche, però, nel caso dell’acquisto delle palancole, per 300 mila euro, la COVECO ha anticipato delle somme ai creditori per conto delle consorziate. Le anticipazioni della Coveco venivano fatte anche per conto della Cea che, tra l’altro, si trovava almeno dal 2006 in una situazione debitoria rispetto alla prima. Inoltre, nonostante la Cea avesse disponibilità di cassa, spesso si faceva anticipare i soldi dagli istituti di credito per i pagamenti. In special modo, mediante conti correnti nelle disponibilità di Rosario Agnello e Domenico Parisi, rappresentante anche della Nettuno per la firma degli atti contabili, attivati presso la Banca Don Rizzo. La Cea ha chiuso il bilancio con un passivo di 10 milioni di euro, crediti per la maggior parte vantati dalle banche e alcuni fornitori. Infatti, pochi mesi dopo il fallimento della Nettuno, nel febbraio del 2011, viene dichiarata la liquidazione coatta dell’associata di Coveco. Come è stato fatto notare dallo stesso presidente del collegio giudicante, il dottore Piero Grillo, quello tra Coveco e Cea può essere descritto come un rapporto di “dare-avere”. Tale legame è stato raccontato dall’allora presidente del Consorzio Veneto, Franco Morbiolo, ascoltato dai magistrati nel 2014 durante l’interrogatorio. L’ex dirigente ha, infatti, raccontato che la Cea gli è stata presentata nel 1997 dal presidente del Consorzio Ravennate dell’epoca, e quando ancora amministratore dell’impresa siciliana era Pasquale Perricone. Sarà proprio la Cea, nel 2004, a seguito dell’avvenuta associazione, a chiedere a Coveco di partecipare alla gara d’appalto per le opere del porto di Castellammare del Golfo, oltre a proporgli di costituire un’Ati.

L’esame dei testi del pubblico ministero è stato seguito da quello della difesa e, nello specifico, dall’avvocato Giovanni Lentini, il quale nel processo rappresenta l’imputata Mary Perricone, cugina dell’ex vicesindaco di Alcamo, che curava la parte amministrativa della Cea. Tra le domande rivolte ai due testimoni, il legale ha chiesto se i consulenti avessero fatto diversi accertamenti: sui soci della cooperativa, sul pagamento della Cea alla Serit, sulle persone fisiche titolari dei conti bancari della Nettuno, sul Durc della Cea. A queste domande i due commercialisti hanno risposto in maniera negativa. Anche nel caso della richiesta sull’accertamento in merito all’abbandono dei lavori da parte della società, e al fatto che la stessa potesse essere in grado di portarli avanti, i consulenti contabili hanno replicato negativamente. Sono stati invece esaminati dagli stessi i verbali di messa in liquidazione. Non sono stati accertati, inoltre, i lavori del 13° Sal perché di competenza dei curatori. Infine, dall’esame del legale della Perricone è sembrata emergere quella che potrebbe essere la tesi difensiva: che la situazione finanziaria della Cea sia stata causata dai ritardi dei pagamenti e dall’avvenuto sequestro del porto. Alla fine dell’interrogatorio, il pubblico ministero ha informato di avere depositato l’istanza di Promosud, la società con sede in via Goldoni n° 6 ad Alcamo, estrapolata dal consulente informatico della procura, il dottore Fumantelli, dal materiale sequestrato dalle fiamme gialle, e con la quale la società (secondo l’accusa occultamente amministrata da Pasquale Perricone) chiedeva al Consorzio Veneto di essere associata. Occorre ricordare che nel 2010 si erano chiusi i rapporti tra Coveco e la Cea, definitivamente estromessa dall’associazione nel 2013, alla quale subentrava la società Atlante. Il controesame dei testi continuerà la prossima udienza, fissata il 2 febbraio prossimo.

Linda Ferrara

redazione

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