Nel corso dell’udienza del procedimento giudiziario a carico dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, svoltasi ieri mattina presso l’aula bunker del Tribunale di Trapani, sono stati interpellati anche il coadiutore dell’amministratore della società fallita, che era stata incaricata dall’ATI di seguire i lavori del porto di Castellamare del Golfo, e il consulente tecnico delegato dal pubblico ministero che ha estratto il materiale informatico relativo alla corrispondenza tra il Consorzio Veneto e la CEA s.r.l.
Si è tenuta nella tarda mattinata di ieri, davanti al giudice Piero Grillo del tribunale di Trapani, l’udienza del processo, con giudizio immediato, a carico di Pasquale Perricone, esponente storico del PSI alcamese, e dei coimputati Girolama Maria Lucia Perricone (detta Mary), cugina dell’ex vicesindaco, Marianna Cottone, sua sodale e compagna, ed il funzionario del centro per l’impiego di Alcamo, Emanuele Asta, arrestati nel maggio 2016 e oggi in libertà. Tali soggetti sono stati accusati di vari reati, tra cui: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, corruzione, truffa ai danni dello Stato e turbativa d’asta. L’inchiesta denominata “Affari sporchi” è stata condotta dai pubblici ministeri Rossana Penna e Marco Verzera, ed è nata a seguito dell’ “Operazione Nettuno” portata avanti dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani e dalla Tenenza di Alcamo sui lavori di potenziamento del porto di Castellammare del Golfo.
Il nome dell’anzidetta indagine guidata dalle fiamme gialle, dunque, è strettamente legato alla società consortile Nettuno, la quale sarebbe stata fatta artatamente fallire nel 2011. Dietro questa operazione delittuosa vi sarebbe la mente dell’ex vicesindaco di Alcamo, Pasquale Perricone, per l’appunto, e alcuni dei suoi sodali, accusati per tali fatti di bancarotta fraudolenta. L’ex esponente del PSI di Alcamo, secondo i pm, sarebbe, infatti, l’amministratore occulto della fallita Nettuno e della CEA, quest’ultima fondata dal padre nel 1969 e del cui organigramma societario Perricone non ha fatto più parte, formalmente, dal 1996. Le somme di denaro pubblico, affluite nelle casse della suddetta CEA, avrebbero dovuto essere riversate alla Nettuno per la realizzazione dell’opera pubblica di cui sopra, e non trattenute dai suoi soci, provocandone, secondo la tesi della procura, il fallimento.
Nel corso dell’udienza svoltasi ieri, è stato sentito, tra i testi convocati dal pubblico ministero, un consulente tecnico, il dottore Giovanni Fulantelli, ricercatore informatico dell’Università di Palermo, al quale è stato affidato il compito di estrapolare la corrispondenza telematica tra il COVECO ( un Consorzio Veneto) e la CEA, rappresentata dall’amministratore Rosario Agnello e considerato dai magistrati una “testa di legno” di Pasquale Perricone. Proprio ieri è stata acquisita dal tribunale la relazione del dottore Fumantelli, depositata dal pubblico ministero come prova documentale. Copie del carteggio verranno utilizzate anche nel processo parallelo che si sta svolgendo a Trapani, e nel quale sono imputati pure i soggetti non colpiti dalla misura cautelare scaturita dall’inchiesta della magistratura trapanese, oltre a Pasquale Perricone e la cugina Mary. In totale, dal consulente informatico sono stati estratti sette mila documenti, oltre a 1.300 messaggi di posta elettronica e diverse scansioni di fax. Tra queste ultime è stata fatta estrapolare, dal magistrato Rossana Penna, una scansione che riguarda i pagamenti dello Stato Avanzamenti Lavori (SAL). Si tratta di una corrispondenza avvenuta tra COVECO e Mary Perricone, la quale nell’ambito dei lavori del porto di Castellammare del Golfo, secondo quanto riferito da alcuni fornitori, sarebbe stata la referente delle forniture della CEA e curatrice dei rapporti per la riscossione delle fatture nei confronti della società Nettuno. Sul dissesto di quest’ultima, sempre durante l’udienza di ieri, sono stati sentiti il curatore fallimentare della società consortile, il dottore Roberto Costanza e il suo coadiutore Giuseppe Mazzara. In particolare, sono state rivolte delle domande agli amministratori sui bilanci della Nettuno e sul sistema del ribaltamento dei costi relativi all’opera pubblica succitata. Infatti, nel 2005, la COVECO, società capogruppo di un’ATI (Associazione Temporanea di Imprese), che deteneva l’iscrizione necessaria per il suddetto tipo di lavoro, insieme ad altre due società, la COGEM e la COMESI, si era aggiudicata l’appalto delle opere del porto di Castellammare del Golfo, versando alla sua associata, la Cea s.r.l., i 13 milioni di euro corrispondenti ai SAL che dovevano, invece, essere pagati alla Nettuno. Quest’ultima, secondo l’accennato sistema, avrebbe dovuto fatturare alle consorziate. Infatti, nel 2007, la Cea, alla quale COVECO aveva affidato i lavori, insieme alle altre due società suddette aveva costituito la consortile Nettuno, che si occupava dell’esecuzione delle opere e del pagamento dei fornitori per conto di queste, costituendo l’unico centro di imputazione dei costi. Secondo quanto riportato dai testi, proprio tale sistema non avrebbe funzionato, in quanto la Nettuno sarebbe stata permanentemente a credito delle consorziate. Inoltre, dal 2009 al 2010 (anno del sequestro dei lavori del porto di Castellammare del Golfo), come ricostruito dai pm, è stata registrata una patologica mancata fatturazione della società. Il tracollo della Nettuno sarebbe sorto al momento del pagamento del tredicesimo SAL, trattenuto dalla COVECO e non riversato alla CEA. Secondo l’accusa, Nettuno, avrebbe dovuto incassare 13 milioni dalla stazione appaltante, ovvero il Comune di Castellammare del Golfo, tramite COVECO, per spese sostenute di 11 milioni e 500 mila euro. Quindi, avrebbe dovuto registrare un’eccedenza di 1 milione e mezzo di euro dall’eventuale credito riscosso. Invece, i pagamenti effettuati a COVECO fino al 12° SAL, sarebbero stati trattenuti dai soci della Cea s.r.l., provocando, secondo i magistrati, inevitabilmente il fallimento della società Nettuno. Inoltre, nonostante la contabilità della Nettuno fosse molto semplice ( il bilancio doveva risultare in pareggio a fine anno), dal 2008 il curatore fallimentare ha registrato un dato costante: lo stato passivo di 3milioni e 500 mila euro che la società vantava per l’appunto dalle sue consorziate e, in particolare, dalla COMESI, il cui debito nel 2010 ammontava oltre 700 mila euro. Le inadempienze di quest’ultima società nei confronti della Nettuno cominciarono nel 2008, ed è a questo punto che è stata acquisita dalla COVECO, e la cui quota, all’interno della consortile, fu portata all’1%, facendo innalzare quindi quella della CEA dal 55% al 79%. La rimodulazione, poi, di tali quote sarebbe stata effettuata con l’iscrizione nel 2010 alla camera di commercio. Il tredicesimo SAL che COVECO ha trattenuto, sarebbe stato pagato nel mese di dicembre 2010 poi alla CEA con atri crediti relativi ad altri lavori pubblici. Infatti, nel corso della loro collaborazione la COVECO e la CEA si sono aggiudicate nove appalti dalle pubbliche amministrazioni. La compagine sociale della Nettuno era composta dal presidente del CDA, Rosario Agnello, già amministratore CEA; dal vicepresidente Vito Emmolo, rappresentante di COGEM; dai membri Francesco Taormina della COMESI, Vincenzo Mancuso della CEA, e Franco Morbiolo della COVECO (verrà sostituito in seguito da Antonino Russo). Dunque, tali membri si sarebbero trovati in una situazione di conflitto di interessi, secondo la magistratura trapanese. Ma interpellato su questo punto dalla difesa, il curatore fallimentare, il dottore Costanza, ha dichiarato che non sussisteva un profilo di incompatibilità tra amministratori. Anche se, è stato rilevato che la Nettuno non ha mai intrapreso un’azione giudiziaria per i crediti vantati dalle sue consortili, formate dagli stessi amministratori. Inoltre, la difesa, ricordando che il tredicesimo SAL è stato emesso nel marzo del 2010, anteriormente alla data del sequestro del cantiere, ha chiesto all’amministratore fallimentare della Nettuno se quest’ultimo evento abbia influito sul ritardo del pagamento del tredicesimo SAL, come già detto avvenuto nel dicembre 2010. Una possibilità che rappresenta, evidentemente, la tesi del legali. Il dottor Costanza non ha potuto esprimere un parere in merito non essendo in possesso di una documentazione pertinente. Invece, sulle motivazioni del fallimento della Nettuno, come suddetto, i pubblici ministeri sembrano avere una chiara idea, anche supportata dalle intercettazioni ambientali effettuate. Come riportato in un altro articolo da noi pubblicato, durante un colloquio avvenuto tra Mary e Pasquale Perricone, in via Goldoni numero 6, sede della Promosud (società riconducibile allo stesso), la cugina dell’ex vicesindaco forniva le spiegazioni sul perché la Nettuno era arrivata a fallire: i soci non versavano tutti gli incassi che prendevano dalla COVECO e li giravano alla Nettuno.
Linda Ferrara