Una mattina di giugno del 1983 i carabinieri bussarono alla porta di uno dei più popolari conduttori televisivi dell’epoca, Enzo Tortora. Fu prelevato in manette con l’accusa di traffico di stupefacenti ed associazione di stampo camorristico. Tortora finì in una maxi retata, una delle più numerose della storia che vide agli arresti 856 soggetti. Dopo l’arresto venne anche eletto eurodeputato ma rinunciò all’immunità parlamentare di cui godeva. Il Tribunale lo aveva già condannato a 10 anni ma lo condannò anche la televisione e tutto il mondo mediatico, che si strinse intorno alla sua figura: non il Tortora di Portobello, ma quello in manette. Tortora era stato accusato da circa 19 pentiti, solo false testimonianze. Fu la Corte d’Appello di Napoli a porsi qualche domanda ed una, dovette essere proprio questa: ma le dichiarazioni dei pentiti, le avete provate? La veridicità di quanto affermato, accusando il giornalista, le avete verificate? Evidentemente no. Tortora venne assolto con formula piena nel settembre dell’86; l’assoluzione venne, un anno dopo, confermata dalla Corte di Cassazione.
Enzo Tortora era un uomo ed un professionista serio, non certo uno che si nascondeva dietro un dito come fanno molti del mondo dello spettacolo di oggi. Da giornalista si occupò del processo ai componenti di Lotta Continua, ideò un programma che tutt’ora viene considerato uno dei pilastri della storia della televisione italiana, nonostante il rapporto con “mamma Rai” non fosse idilliaco. Tortora aveva piena coscienza di quello che lo circondava, anche del marcio. Probabilmente fu questo uno dei motivi che lo portò ad abbracciare il Partito Radicale ed un percorso politico che però poi lui stesso interruppe. Secondo fonti giudiziarie, pare che i camorristi fecero il suo nome per un po’ di visibilità. Forse dietro c’era altro, fatto sta che la reputazione di Tortora nonostante alcune scuse ed il forte sostegno degli amici – tra cui Pippo Baudo, Piero Angela, Leonardo Sciascia, Marco Pannella, Enzo Biagi – fu segnata indelebilmente. Nessuno ha mai potuto ridare dignità a quell’uomo che il 20 febbraio 1987, un anno prima della morte (sviluppò il cancro in carcere) tornò al suo Portobello con queste parole: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Dove siamo adesso, dico io. Aveva ragione Biagi quando disse: “Vicende come quella che ha portato in carcere Enzo Tortora possono accadere a chiunque. E questo mi fa paura”. Fa paura a tutti gli uomini di buon senso, fa paura perchè i processi in televisione aggirano la legge. I processi si fanno nelle aule giudiziarie, i mostri diventano tali dopo una sentenza passata in giudicato, non su “Le Iene”.
Va bene sensibilizzare sulle problematiche, ma quello che sta accadendo negli ultimi giorni a Fausto Brizzi e ad altri personaggi che operano nel mondo del cinema, desta preoccupazione. Il messaggio che alcune donne dovrebbero dare quando si presentano a denunciare molestie o violenze in tv è uno: “dico alle giovani donne di non piegarsi mai agli uomini del potere che vogliono giocare con il loro corpo e la loro dignità”. In pochissime lo hanno detto. Nel cinema, come nella musica, nella televisione e nella moda, tante sono le vittime e tanti sono i carnefici; ma ci sono anche tante false vittime e tanti presunti carnefici. E’ un crudele gioco delle parti e al contempo un segreto di Pulcinella.