Ci siamo accorti che il ministro del lavoro Giuliano Poletti, non deve le sue “rispettabili” dimensioni soltanto al fatto che certamente, quando è seduto a tavola, mangia piatti imponenti di rigatoni, ma anche alla circostanza che quando interviene nei convegni (ebbene si, lo invitano ancora), nelle riunioni e addirittura in piedi nel leggio durante gli incontri di partito, si mangia le parole, tanto è rapida sbrigativa e, non so se ci capite, “masticata”, la sua lettura. Pare essersi passato la voce con quelli del dicastero dell’economia tanto da affermare, in simbiosi con il collega Padovan, che la situazione occupazionale non sarà nerissima come da molte parti preannunciato. E, questa volta in perfetto accordo con l’ex premier Matteo Renzi, ha snocciolato domenica in Tv, i dati relativi alle assunzioni dovute alla legge denominata Jobs Act. “Sono quasi un milione quelli che grazie al provvedimento dello scorso governo, hanno trovato occupazione”. I sindacati invece, forti anche di numeri provenienti dall’Istat, parlano di occupazione precaria e a tempo indeterminato e aggiungono che quest’anno saranno circa cinquemila gli italiani che perderanno il lavoro. Secondo le previsioni che ci portavano verso un catastrofe, pareva che tutti fossimo chiamati a pagare una colpa della quale facendo parte di questa società iniqua, fossimo in qualche modo corresponsabili. Invece secondo il ministro Poletti, che domenica scorsa ha parlato anche a Reggio Emilia sempre rigorosamente in piedi, “ce la caveremo”. Ma chi se la caverà? Non certamente quei cinquemila che hanno perduto il lavoro. Prima quando eravamo dispersi nello sfacelo totale, non avevano un nome. Si chiamavano come noi, tutti colpiti dalla stessa sciagura. Ora invece mentre noi secondo il ministro ce la caveremo, ci saranno cinquemila case dove non si lavora più, cinquemila coppie monoreddito sul lastrico. Cinquemila che non vedranno più il loro congiunto/a che non va al lavoro. E sui volti di quelle donne e di quegli uomini si leggerà l’angoscia, la rabbia, la disperazione. Certo meglio cinquemila che cinquecentomila o cinque milioni. Ma noi basta che li pensiamo uno ad uno. Ognuno con il proprio nome,nelle propria casa desolata, per sentire che anche cinquemila sono un mondo smisurato e crudele,nei confronti del quale, egregio signor ministro, non potremo mai dire che “ce la caveremo”.