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Presentato a Palermo il rostro ritrovato nei pressi di Levanzo. “Un tassello importante nella ricostruzione della Battaglia delle Egadi”

Il recupero del rostro in bronzo, rinvenuto nei fondali a nord–ovest dell’isola di Levanzo, nel tratto di mare dove si ritiene si svolse la battaglia delle Egadi tra Romani e Cartaginesi, è stato presentato durante una conferenza stampa presso l’Istituto Roosevelt – Soprintendenza del Mare, a Palermo. Il rinvenimento aggiunge un tassello importante alla conoscenza del luogo esatto dove, il 10 marzo del 241 a.C., avvenne l’epico scontro che cambiò la storia della Sicilia e del Mediterraneo.

Il suo recupero, a 80 metri di profondità, è stato possibile grazie alla fruttuosa collaborazione tra la Soprintendenza del Mare e la RPM Nautical Foundation statunitense. All’incontro hanno preso parte il Soprintendente del Mare Sebastiano Tusa, e William Murray dell’University of south Florida Peter Campbell e Meteuse Polarosokj University of Southampton, tutti della RPM Nautical Foundation. Il Soprintendente Tusa, nel corso della conferenza stampa tenutasi a Palermo, ha messo in rilievo il valore del recupero che incrementa il patrimonio culturale della Sicilia. Il reperto presenta la novità assoluta, tra i 12 finora identificati, di avere la parte lignea della prua della nave all’interno. La sua estrazione e conseguente studio darà preziose informazioni sulla tecnologia navale adoperata per costruire le navi da guerra in quel periodo. Si notano le parti finali della chiglia, del dritto di prua, delle due cinte laterali e della trave di speronamento.

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Il rostro recuperato

Il rostro in bronzo è stato recuperato laddove da anni si ritiene fosse avvenuta la battaglia delle Egadi tra Romani e Cartaginesi, a 80 metri di profondità, nei fondali a nord – ovest dell’isola di Levanzo. Questa importante scoperta conferma la veridicità delle ipotesi e aggiunge un tassello importante al patrimonio culturale della Sicilia. Il rostro presenta una decorazione costituita da un elmo con tre piume in altorilievo sulla guaina superiore dove si trova anche l’iscrizione che reca il nome del questore che contribuì finanziariamente alla realizzazione della micidiale arma da guerra navale.

Il reperto presenta la novità assoluta tra quelli finora identificati di avere la parte lignea della prua della nave all’interno. La sua estrazione e conseguente studio fornirà preziose informazioni sulla tecnologia navale adoperata per costruire le navi da guerra in quel periodo. Si notano già le parti finali della chiglia, del dritto di prua, delle due cinte laterali e della trave di speronamento. Il rostro, visibilmente danneggiato dall’azione di guerra, combatté il 10 marzo del 241 a.C.

Un’altra pagina di storia è stata svelata attraverso la sistematica collaborazione tra storici, archeologi con l’ausilio ormai indispensabile della tecnologia elettronica ed oceanografica nell’ambito di una fruttuosa collaborazione tra la Soprintendenza del Mare e la RPM Nautical Foundation statunitense.

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La battaglia delle Egadi

E’ il 10 marzo del 241 a.C., un giorno epocale per la Sicilia, il momento in cui la Sicilia diventa terra “occidentale” dove campeggia già austera la fisionomia di Roma.

La battaglia delle Egadi è uno di quegli eventi che, da Polibio in poi, hanno alimentato il dibattito sulle guerre puniche, sulle loro cause e sulla svolta geopolitica che ne conseguì, ed hanno acceso l’immaginazione della gente soprattutto sulla spettacolarità delle vicende belliche..

I Cartaginesi di Amilcare erano assediati sulle balze nord-orientali del monte Erice che sovrasta la città di Trapani (l’antica Drepanum). I Romani ne tenevano saldamente le pendici occidentali e la vetta lasciando in mano nemica soltanto un corridoio che dava accesso al mare nei pressi dell’odierna baia di Bonagia. La situazione si aggrava con l’arrivo della flotta romana che occupa le acque antistanti Drepanum e le rade di Lilibeo. L’intera costa occidentale dell’isola resta quindi tagliata fuori da ogni collegamento con Cartagine; Lilibeo, fondamentale snodo marittimo e terrestre della Sicilia punica, rimane senza sbocchi a causa del blocco romano.

I Cartaginesi tentano di tutto pur di soccorrere Amilcare chiuso sul monte. A tal proposito approntano una forza navale al comando dell’ammiraglio Annone che, partita da Cartagine, raggiunge Marettimo (Hiera) dove attese vento e mare favorevoli per l’ultimo balzo verso la Sicilia per soccorrere i propri connazionali.

Lutazio Catulo intuisce la rotta delle navi puniche che, da Hierà, evitando naturalmente la costa pattugliata tra Drepana e Lilibeo, avrebbero puntato su Erice, ampliando il raggio di navigazione verso l’accesso nord-orientale dell’attuale Torre di Bonagia: occorreva tagliarne la rotta, volgendo a favore dei Romani quel forte libeccio che, pur propizio alle vele nemiche, non le avrebbe comunque alleggerite del pesante carico di vettovaglie in caso di un attacco a sorpresa.

Lo scontro avvenne a Nord di Levanzo laddove le ricerche archeologiche effettuate in collaborazione con la RPM Nautical Foundation hanno messo in evidenza le prove che ormai fugano ogni dubbio sulla reale cinetica della battaglia.

Lutazio Catulo si nascose dietro l’alta mole di Capo Grosso di Levanzo e, quando vide sopraggiungere il nemico a vele spiegate diede ordine di tagliare le cime d’ormeggio e salpare in fretta in modo da colpire le navi nemiche al traverso. Ci volle poco a scatenare la confusione e lo sgomento tra i marinai cartaginesi. In preda al panico parte della flotta rientrò verso Cartagine, parte fu distrutta o catturata da Lutazio Catulo. L’episodio concluse la Prima Guerra Punica tra Cartaginesi e Romani.

redazione

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