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La Cassazione annulla l’assoluzione di Rino Giacalone, accusato di aver diffamato il mafioso Mariano Agate

Con una decisione per certi versi sorprendente la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione emessa lo scorso anno dal Tribunale di Trapani, nei confronti di Rino Giacalone, accusato di diffamazione a mezzo stampa. La vicenda giudiziaria trae origine dalla denuncia di Rosa Pace (vedova del defunto boss Mariano Agate) nei confronti del giornalista trapanese, in seguito alla pubblicazione di un articolo sul blog Malitalia in cui Giacalone definiva Agate come un «gran bel pezzo di merda». Oggi i giudici della quinta sezione della Cassazione hanno rinviato gli atti processuali alla Corte d’Appello di Palermo, nonostante il procuratore generale durante la requisitoria avesse chiesto «l’inammissibilità del ricorso», richiesta a cui si era associato il team di legali del giornalista (composto dagli avvocati Enza Rando, Giulio Vasaturo, Carmelo Miceli e Domenico Grassa). Dopo la sentenza di assoluzione, risalente allo scorso 7 giugno, il pm della Procura di Trapani, Franco Belvisi aveva presentato un ricorso «per saltum» in Cassazione. I giudici, che come noto non entrano nel merito del processo ma si fermano a valutazioni di legittimità, hanno rilevato un «vizio di diritto» che li ha portati ad annullare la sentenza della Corte d’Appello.

«Aspettiamo serenamente le motivazioni della sentenza – hanno commentato i legali del giornalista – e ci rinviamo alla corte d’appello per dimostrare l’assoluta irrilevanza penale dello scritto di Giacalone. L’espressione non integra il reato di diffamazione ma va interpretata come un richiamo alla frase pronunciata da Peppino Impastato. E’ una sineddoche utilizzata con intento «non denigratorio», con l’attribuzione della valenza pedagogica, come ha detto il giudice di primo grado».

Questo invece il commento del giornalista Rino Giacalone: «Mi piace in questo momento fare mia l’affermazione del compianto Santo Della Volpe, che si occupò del caso giudiziario quando era presidente della Fnsi. E cioè: Si vuol dunque processare una opinione? Una cronaca giornalistica? Dove può arrivare la diffamazione, nel caso in cui si parla di un capomafia criminale ed assassino? Si deve dimenticare, nei giudizi giornalistici, l’indignazione morale per tutto il suo passato delinquenziale solo perchè il boss è morto? Credo fermamente proprio di no. E credo soprattutto che ricordando l’articolo21 della Costituzione, non si possa processare l’opinione espressa da un giornalista, senza toccare la libertà di stampa. La libertà di stampa di tutti, non solo la mia!».

redazione

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