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Claudio Tamagnini racconta la Turchia di Erdogăn. “Europa succube di questo Stato fascista”

“Fuochi Bombe Prigioni” è il nuovo libro, edito NullaDie, di Claudio Tamagnini, attivista per i diritti umani e trapiantato ad Alcamo da oltre 30 anni. Abbiamo incontrato l’autore del volume in occasione dell’evento “Terra Sacra. Territori resilienti”, organizzato lo scorso fine settimana dall’Istituto BioArchitettura di Trapani.

Per quale motivo ha aderito a questa iniziativa promossa dall’Istituto di BioArchitettura?

Sicuramente, la ragione prima della manifestazione di Terra Sacra riguarda gli architetti, BioArchitettura. Però, Terre resilienti è invece la possibilità di riscatto che abbiamo nella terra. In questo, sicuramente, sono tra i primi fautori dell’agricoltura biologica, che è stata introdotta ad Alcamo ormai trent’anni fa, quando ho cominciato io. Delle mille possibilità che, invece, ci sono adesso, si è parlato in questi giorni. Ma il mio inserimento all’interno della manifestazione dei tre giorni era per presentare questo libro. Si tratta di raccontare i kurdi nell’unico pezzetto (di territorio n.d.r.) che hanno preso in gestione, prendendoselo con le armi, cacciando il Daesh nella zona del Rojava, dove immediatamente vivono un’esperienza alternativa di costruzione di democrazia e di uno sviluppo sostenibile. Non come ritorno ad uno sviluppo sostenibile, ma come un terreno devastato dalla guerra, dalla gestione siriana precedente, a coltivare, invece, in modo sostenibile il biologico e tutto quello che possono gestirsi.

Lei è stato per diversi anni un attivista impegnato in Medio Oriente e, in particolare, in Palestina. Quali sono le differenze tra questa regione e quella raccontata nel suo ultimo libro?

La Palestina non è una nazione, non ha nessuna gestione propria se non dipendendo da Israele. Così il Kurdistan non ha nessun riconoscimento. La Palestina dovrebbe avere quei confini detti del ’67, anche se non li può avere perché all’interno di quei confini è piena di colonie israeliane. Non gli viene riconosciuto alcun diritto ad avere uno spazio. I kurdi non lo cercano nemmeno. Non vogliono uno spazio, vogliono autogestire le loro regioni all’interno di diversi stati. Io l’estate scorsa, per la seconda volta, sono arrivato nel Kurdistan turco, che è la parte più estesa del Kurdistan. Sono stato lì subito dopo lo pseudo golpe di Erdogăn, quando metteva leggi speciali. Con queste leggi speciali, noi abbiamo cercato di viaggiare per documentare le zone degli incendi boschivi e i paesi che uscivano da mesi e mesi di coprifuoco.

Lei, infatti, ha fatto questo viaggio insieme ad altre due persone.

Insieme ad altre due persone, un ragazzo pugliese e una ragazza olandese, nel luglio del 2016, siamo stati lì e siamo stati arrestati. Siamo finiti in carcere a Nusaybin, una città kurda a confine con la Siria. E, poi, siamo stati espulsi dalla Turchia.

Per quanto tempo siete rimasti in carcere?

Siamo rimasti in carcere per tre giorni. Pur essendo stati assolti dalla giustizia (il giudice ha sentenziato che eravamo liberi), la polizia ci ha acchiappato di nuovo e ci ha messo in un centro di espulsione fino a quattro giorni dopo.

Dal punto di vista dei diritti umani come siete stati trattati?

Quasi bene. È anche ridicolo che la polizia, che è in grado di mettere le bombe dentro le case della gente in modo che scoppiano quando ci rientrano i bambini, invece, a noi ci trattava prelevandoci tutti i giorni dalle nostre celle, per portarci in ospedale. Ci controllava un dottore terzo. Controllava che non avessimo preso le botte.

Questo trattamento vi è stato riservato perché la Turchia mantiene dei rapporti diplomatici particolari con l’Europa?

La Turchia deve far vedere che sono bravi. C’era ogni giorno il referto medico che non avevamo preso le botte, per far contento il console.

Ciò corrisponde alla realtà?

È vero che siamo stati trattati così, ma non vengono trattati così i kurdi. Con le stesse accuse nostre scompaiono nelle carceri, per anni e anni. Noi siamo stati accusati di essere parte di un movimento terroristico oppure parte di spionaggio internazionale, che sono le due paranoie di Erdogăn. Lui vede dovunque il terrorista o la spia.

Secondo lei quale dovrebbe essere l’atteggiamento dell’Europa nei confronti della Turchia alla luce anche della virata verso la dittatura?

L’Europa potrebbe fare moltissimo se avesse il coraggio di contestare la gestione di questo stato fascista. Invece, purtroppo, l’Europa ne è succube con questa storia dei sei miliardi dati per tenersi i siriani. Io quello che ho visto succedere in Kurdistan…dove vengono demoliti quartieri interi di città, vengono demolite le campagne con incendi, per allontanare dalla loro zona i kurdi, e sostituire con chi? Dico io con i siriani che si è tenuto ( Erdogăn n.d.r.) per non mandarli in Europa.

È ciò che lei immagina?

Lo immagino io. L’obiettivo è di modificare le città kurde. A Nusaybin il 90% vota HDP (il partito curdo). Non vuole che ci siano cose così. “Se demolisco metà della città e ci metto lì gente siriana che mi sia fede, io modifico lo Stato” (Tamagnini interpreta Erdogăn n.d.r.).

Secondo lei, questo è il progetto di Erdogăn?

Certo. La “turchizzazione” per lui è impedire che delle aree siano completamente kurde. Potrebbe ottenere il contrario: tutta la Turchia diventa kurda.

Ha potuto constatare la situazione dell’opposizione e dei giornalisti?

I giornalisti vengono arrestati. I giornali vengono chiusi. Gli insegnanti sono stati licenziati. I giudici sono stati licenziati. Mille giudici hanno perso il posto sostituiti da altri mille. Quello che ha giudicato noi non era contro di noi, pur essendo uno successivo alle purghe. E, così, penso io anche gli insegnanti e gli altri giudici. Non è che se li può andare a scegliere tutti come suoi fedeli. Non ce la farà.

Quindi lei è un ottimista?

Io sono sempre un ottimista.

Linda Ferrara

redazione

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Tags: Claudio TamagniniErdoganTurchia