Caro Direttore,
in merito al commento sulla notizia data dalla tua testata sul proscioglimento dall’accusa di diffamazione aggravata mossami dal giornalista Francesco La Licata vengo a significarti quanto segue: per prima cosa mi complimento per la pacatezza della tue parole che seppur sostanzialmente dissenzienti dal mio pensiero, riassunto nel corso di vari editoriali sullo spigoloso tema dei “professionisti dell’Antimafia” e di ciò che questa sia diventata in questi anni, aiutano ad un sereno e, si spera, proficuo dibattito che dovrebbe aiutare a non “gettare il bambino con l’acqua sporca”. Pacatezza che, come ben sai, è raro trovare su chi sostiene tesi simili alle tue, spesso accecate dal vero e proprio “odio” nei confronti di chi non si conforma al pensiero unico o auspicato tale.
Sono d’accordo con te: bisogna “distinguere gli errori e le ingenuità che possono trovare spazio anche nelle esperienze più nobili rispetto ad una visione di insieme…,che ti hanno consentito di conoscere bene il mondo di Libera, il lavoro che fanno i suoi straordinari volontari, le attività dei presidi”. A prescindere da Libera che certamente rappresenta l’icona Antimafia praticante per eccellenza, vorrei allargare il discorso a questo mondo più in generale, evitando personalizzazioni. Parlo dell’associazionismo, certo, ma anche del “sistema” amministrazioni giudiziarie, delle “costituzioni facili” nei processi di certa Antiracket così come del giornalismo embedded.
Purtroppo, caro Direttore, sono stati tanti di loro (non tutti è giusto riconoscere) a far sì che ci sia il pericolo di gettare il bambino con l’acqua sporca, non il sottoscritto o quei pochi che ne hanno il coraggio di dissentire; perché è inutile girarci intorno: è di gran lunga più comodo stare in silenzio o ancor meglio vicini a certi cerchi magici dell’Antimafia che criticarla. Ed ovviamente, con il “loro”, mi riferisco a quei pochi, ma purtroppo che occupano i posti chiave, “capi&capetti” dei settori di cui sopra e non certo ai tantissimi che fanno con convinzione in maniera “preziosa e silente” la loro parte, spesso come volontariato, per un futuro migliore libero da quel malcostume malavitoso composto non di rado anche da colletti bianchi. Sono loro che fanno “mancare il confronto tra prospettive diverse” per far crescere la “nostra terra” tacciando di “essere oggettivamente al fianco delle mafie” se si ha l’ardire di criticarli (Cit. Referente provinciale di Libera Modena su un bravo e coraggioso giornalista modenese che pubblicava una serie di incarichi per centinaia di migliaia di euro ricevuti dal numero 2 di Don Ciotti, avv. Enza Rando, dalle istituzioni locali e sull’opportunità di esse non mettendone in dubbio certo la legittimità ); concetti non lontani da quelli scritti, se non altro fra le righe, da certi tuoi colleghi a queste latitudini, e lo sai bene.
Un po’ quello che ha fatto con me/noi il “maestro di giornalismo a cui dobbiamo tanto -forse tu, non certo io…- nella comprensione del fenomeno mafioso”; e c’è ben poco da conoscere, caro Direttore: il “Maestro” non ha scritto, sbalorditivamente, di una confidenza ricevuta da un Maresciallo dell’Arma che avrebbe potuto cambiare la vita ad un innocente perché “non era facile mettersi contro i Carabinieri in quel periodo” ed in particolare di un’icona antimafia di quegli anni. Punto. Ed a questa semplice quanto sacrosanta critica ha reagito con la più classica delle azioni che lo stesso “giornalismo impegnato” stigmatizza ogni volta quando è lei “sul banco degli imputati”: la querela per diffamazione aggravata. Proprio perché questi signori sono assolutamente allergici a qualsivoglia critica gli venga mossa. Altro che libertà d’espressione, artico 21, ecc… Quindi,di cosa stiamo parlando? Cosa dovremmo fare per non gettare il bambino con l’acqua sporca?
Da parte mia/nostra piena disponibilità a confronti costruttivi. Ma la verità è che sono loro a non volerli; il “tornaconto/interesse”, in tutte le sue forme (incarichi, visibilità, carriera, lavoro che spesso non hanno nella società se non proprio quello “di satellite” dell’antimafia…), è troppo alto. Ed ho la triste sensazione che in tanti, mossi inizialmente da una purezza di spirito, si sia persa la spinta propulsiva; di altri nemmeno è il caso di parlarne perché sono fermamente convinto che si siano avvicinati a questi ambienti per opportunismo e spesso per “invidia sociale”. Così è che la penso; e dubito fortemente d’aver torto, come tante cronache stanno dando triste conferma in questi mesi. Ma mi fa certamente piacere che “dall’altro lato” ci siano figure come la tua disposte ad un confronto intellettualmente onesto per non correre il pericolo dell’infante. Ma ho l’impressione che siamo fuori tempo massimo ed ormai nella tinozza sia restata solo l’acqua sporca…
Massimo Marino – Presidente di Telesud
Gentile Presidente,
come ho già avuto modo di scriverti, so bene che il mondo dell’antimafia non è una monolite baciato dal dono dell’infallibilità. In diverse circostanze, è stato lo stesso don Luigi Ciotti a sottolinearlo. Riporto qui a seguire lo stralcio di un’intervista pubblicata sul nostro portale il 3 aprile del 2014, in cui ho avuto modo di chiedere allo stesso fondatore di Libera la sua opinione sull’argomento.
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Se la lotta alla mafia non è stata ancora vinta, crede che sia anche a causa di alcuni errori dell’antimafia?
Risposta di don Luigi Ciotti: Io dico che antimafia e legalità sono spesso parole abusate. Utilizzate in maniera malleabile, svuotate del loro vero significato. A parole, tutti si dicono contrari alla mafia. Ma antimafia significa concretezza d’azione. C’è però anche una riflessione da fare nelle associazioni, a partire da Libera. Da un lato osservo la bellezza di tante persone che ogni giorno si mettono in gioco, dall’altro, c’è il rischio che alcune di loro si siedano, limitandosi a riempirsi la bocca di legalità. C’è bisogno di umiltà, concretezza, quotidianità e di un fare che incida di più.
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Dalla risposta di don Ciotti si evince come il tema sia molto sentito anche dalle parti dell’antimafia. Chiaramente, ogni processo ha bisogno dei suoi tempi. Ben vengano le critiche costruttive se dunque consentono di assumere comportamenti più incisivi nella lotta a Cosa Nostra. Tocca a tutti noi, però, vigilare affinchè i varchi aperti dal confronto non finiscano diventare praterie in cui finiscano per scorazzare quei soggetti che proprio grazie alla mafia e ai suoi derivati hanno consolidato nel tempo posizioni di potere. Sarebbe un ulteriore vantaggio al sistema malavitoso che non ci possiamo permettere di concedere.
Vincenzo Figlioli