Come ogni anno inizia il Festival di Sanremo, che una volta – fino agli anni ’70 – rappresentava la migliore canzone italiana e poi, con l’avvento della stagione dei cantautori, si è trasformato in un grande evento: l’unico vero show musicale italiano che perdura con alterne fortune da quasi settant’anni.
Come ogni evento che abbia una notevole risonanza mediatica, e anche un indubbio valore economico – diretto e indotto – è accompagnato da molte polemiche, spesso strumentali e di maniera.
Sembra che la parte migliore di questo Paese – notoriamente alla rovina e con le pezze al culo, rimanga nascosta dietro la siepe dell’ignavia per tutto l’anno per poi uscire con un balzo improvviso e pronunciare sempre la stessa litania: “non guardo Sanremo, non ho neanche la tv, non mi rappresenta, io leggo”.
Cosa facciano questi noiosi commentatori per migliorare le condizioni della nostra disastrata nazione, tra un festival e l’altro, visti i risultati, non è chiaro.
Chiarisco subito un punto: vedere il festival non è indispensabile, né necessario, si può vivere anche senza assistere alla kermesse canora. E’ parimenti vero che si può vivere benissimo, forse meglio, senza la rituale scia polemica che è sbandierata da chi non solo non vede Sanremo, ma avverte la necessità interiore di urlarlo ai quattro venti.
Questa necessità di smarcarsi pubblicamente, nell’epoca degli ossimori – difendiamo la privacy e poi spiattelliamo tutto sui social – è roba da psicanalisti, o forse da comici, più che da improvvisati critici musicali come si trasformano, chi scrive per primo, gli italiani al tempo del festival.
E costituire un gruppo social per assistere insieme alle serate sanremesi? Oddio, che obbrobrio, che dannazione estrema, che scelta scellerata. E giù analisi psicologiche da banco, sociologia d’accatto, pantomime di orrore culturale, vette inarrivabili di luoghi comuni. “ Io vado a teatro, mica perdo tempo con la canzonetta… è per questo che l’Italia va male, tutti vedono Sanremo e poi si disinteressano della politica e della società…”
E invece no, care lettrici e cari lettori. Nell’epoca del postmoderno, dove tutto è stato già detto e scritto, in cui l’idea della storia come progresso è tramontata da tempo, e si è arrivati alla scomposizione del linguaggio, dell’arte grafica, dell’armonia musicale, della tonalità e di ogni altra forma espressiva ormai rifugiata nel concettualismo spesso più astruso, lasciateci divertire guardando Sanremo.
Anche con un gruppo virtuale qual è “ Il Salotto di Sanremo (e non solo)”, nato diversi anni fa in sordina come pagina sul social facebook, e che ora conta quasi trecento iscritti, provenienti da ogni parte d’Italia, che amano commentare insieme tutte le esibizioni canore dello show sanremese. Un esperimento riuscito a giudicare dalle centinaia di commenti (quasi duemila) che ogni sera l’intero gruppo affida alla scrittura per comunicare ciò che direbbe se i componenti fossero l’uno accanto all’altro. E molti, all’interno del gruppo, si divertono anche a cantare le cover dei successi sanremesi. Un modo per tenere unite persone che non potrebbero esserlo fisicamente per la lontananza geografica.
Nessuna pretesa culturale, nessun messaggio sociologico, nessun esempio da indicare. Soltanto il senso arcaico, attuale, e per fortuna sempre esistente, di fare festa, di gioire attorno al fuoco della vita che, di tanto in tanto, ha bisogno di abbassare la guardia e ridere insieme, come si faceva da bambini, giocando con pochi oggetti che erano tutto il nostro mondo.
Buon Sanremo e buona vita a tutti.
Fabio D’Anna