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Alcamo: conferita la cittadinanza onoraria a Giuseppe Gulotta, 22 anni in carcere da innocente

Quarant’anni fa Giuseppe Gulotta divenne, ingiustamente, protagonista di uno dei misteri della storia della Repubblica italiana tutt’ora irrisolti: il duplice omicidio dei carabinieri Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, avvenuto nel gennaio del 1976 ad Alcamo Marina. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, nel 2016, gli ha riconosciuto una somma di 6 milioni e mezzo come risarcimento dovuto al clamoroso errore giudiziario

Durante il Consiglio Comunale di ieri pomeriggio, tenutosi in via eccezionale presso il Centro Congressi Marconi, è stata conferita la cittadinanza onoraria a Giuseppe Gulotta, l’uomo che fu accusato, ingiustamente, della strage della casermetta dei carabinieri di Alcamo Marina. La manifestazione si è svolta alla presenza delle autorità civili, religiose e militari locali, ad eccezione dei rappresentanti dell’Arma dei carabinieri. Ad inaugurare la cerimonia è stato il presidente del consiglio Baldo Mancuso che ha ceduto la parola al sindaco Domenico Surdi, il quale ha spiegato il motivo di voler conferire la cittadinanza onoraria a un cittadino che è nato ad Alcamo. La volontà, ha precisato il sindaco, è stata infatti quella di riabbracciare un uomo che, nonostante non sia stato libero per più di 22 anni, ha continuato a credere nelle istituzioni. “Giuseppe Gulotta e la sua storia sono un insegnamento che va al di là di qualsiasi confine anche territoriale”, ha affermato Surdi. Si ricorda che il riconoscimento della cittadinanza onoraria a Gulotta, da parte dei rappresentanti l’aula consiliare, è avvenuto a seguito dell’approvazione della mozione il 6 settembre 2016, presentata dal gruppo politico ABC-Alcamo Cambierà. Ha così commentato uno dei tre promotori dell’iniziativa, il consigliere Gino Pitò “Oggi, credo che i due sentimenti contrastanti sono: da un lato, chiaramente di lutto. Ce lo ricordano le bandiere a mezz’asta appese al comune”. Pitò si riferisce al fatto che in questa giornata si è commemorata proprio la strage della casermetta. Poi, ha continuato “Chiaramente, è anche una giornata di festa, perché questa è la festa della nostra comunità locale. Ed è un’occasione di crescita di una comunità sociale”. Nel corso della manifestazione, il consigliere Pitò ha lanciato l’iniziativa per firmare sul sito online Change.org la petizione con la quale si chiede al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di incontrare Giuseppe Gulotta.

Al Marconi era presente anche uno degli avvocati di Gulotta, Saro Lauria che, dopo avere annunciato la volontà del suo assistito di dare vita ad una fondazione in sostegno delle vittime di giustizia come lui, e senza aiuto economico, sociale e familiare, rivolgendosi all’amministrazione ha dichiarato “Io ho apprezzato il coraggio con il quale hanno voluto a tutti i costi questa manifestazione. Onestamente non ci credevo. Avevo detto a Gulotta «vedrai che 15 giorni prima sarà revocata la manifestazione perché arriveranno ordini supremi a cui non si può dire di no». Per cui, sotto questo punto di vista, grazie al sindaco Surdi, grazie al presidente del consiglio, all’amministrazione comunale che ha dimostrato di avere gli attributi, che guarda in faccia agli uomini, anche se sono gli ultimi della società, e non ai poteri forti.” Invece, lo scrittore Nicola Biondo, autore del libro Alkamar, nel quale ha ricostruito la storia di Gulotta e della strage della casermetta, ha così descritto il protagonista di questi tristi eventi “Un uomo vincente, un uomo che non ha mai piegato la testa, che è stato rispettoso, in un dolore incomprensibile, che, però, alla fine ha vinto. Ha vinto contro ogni cosa. Si è difeso all’interno delle regole democratiche, si è difeso dentro il processo, si è difeso con la sua verità, e ha incontrato, viva Dio, dopo tanti anni che ne aveva bisogno, persone buone e generose, che con grinta lo hanno tirato fuori dall’inferno. Voi riaccogliete, in chiesa si dice scambiamoci un segno di pace, voi, oggi scambiate un segno di pace, a nome della città di Alcamo, con un uomo che ha dato lustro come cittadino nella sua esperienza terribile. E, di questa cosa, personalmente, vi ringrazio tanto”. A Gulotta sono stati consegnati una pergamena dal sindaco Surdi, una targa dal presidente del consiglio Baldo Mancuso e un libro sulla città di Alcamo dal vicesindaco Roberto Scurto. Queste sono state le parole pronunciate da Gulotta ai nostri microfoni, una volta ricevuto il conferimento della cittadinanza onoraria “Una serata importante, un riconoscimento importante. Magari posso dirlo ora, rispetto al passato. Ci tenevo che arrivasse. Io mi sentivo sempre alcamese a tutti gli effetti, però, adesso, diciamo sono un po’ più vicino ai cittadini e penso che anche loro lo siano nei miei confronti.”

La strage della casermetta di Alcamo Marina

Il 27 gennaio del 1976, esattamente quarant’uno anni fa, venivano trovati trucidati due giovani carabinieri presso la caserma di Alcamo Marina: Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Quella avvenuta presso l’Alkmar, la stazione dell’Arma dei carabinieri sita nella località balneare, verrà ricordata come una delle stragi più efferate che segnarono l’Italia durante i cosiddetti anni di piombo. Negli anni ’70, infatti, si verificarono diversi attentati, alcuni dei quali riconducibili alle famose Brigate Rosse. Il clamore della menzionata strage fu tale da portare gli investigatori dell’epoca ad accelerare le indagini per trovare i responsabili dell’efferato omicidio. Ad essere privilegiata fu proprio la pista del terrorismo di estrema sinistra. Una rivendicazione proveniente da detti ambienti, infatti, fece propendere gli investigatori verso quella direzione. Bisogna dire, però, che la rivendicazione fu subito smentita dalle Brigate Rosse, ma, nonostante ciò, la ricerca dei colpevoli si concentrò su questa via. L’arresto di Giuseppe Vesco, giovane vicino alle posizioni anarchiche-insurrezionaliste, segnò proprio il cammino sul selciato della cattura dei responsabili. In quel periodo diverse perquisizioni furono effettuate a ragazzi alcamesi, e non solo, con un orientamento politico di sinistra. Tra questi giovani vi era anche Peppino Impastato. A svelarlo, diversi decenni dopo, è stato l’ex carabiniere Renato Olino. Grazie alle sue rivelazioni, seppure tardive, è stata fatta, in parte, chiarezza sulle indagini svolte 40 anni fa. È stato proprio Olino a raccontare ai pubblici ministeri di Trapani come venne estorta la confessione sulla strage della casermetta dei carabinieri al giovane Vesco, portato dagli appartenenti all’Arma nella stazione di Sirignano, località vicino ad Alcamo, per l’interrogatorio. Infatti, in possesso di Vesco vennero trovate delle armi e proiettili compatibili con quelli utilizzati per il duplice omicidio. Compatibili, ma non gli stessi. Olino racconterà agli inquirenti la tortura effettuata dai militari su Vesco per ottenere la sua confessione. Oltre alla “tecnica dell’annegamento”, eseguita mediante un imbuto conficcato nella bocca del giovane nel quale venivano conferite diverse quantità di acqua e sale, venne utilizzato un telefono da campo, tipico della seconda guerra mondiale, con il quale furono attuate delle scosse elettriche sui genitali del ragazzo. Il tutto, sembrerebbe, alla presenza di un medico. Giuseppe Vesco, che aveva sin da subito dichiarato di essere semplicemente un “postino” delle armi in sua dotazione, stremato dalle sevizie, confessò l’omicidio. Affermò, inoltre, che avevano preso parte alla strage altri quattro giovani: Giuseppe Gulotta, allora 18 anni, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, entrambi minorenni, e il partinicese Giovanni Mandalà, il più grande del gruppo. I quattro, una volta arrestati, durante l’interrogatorio subirono un trattamento non da meno rispetto a quello riservato a Vesco, con tanto di pugni e calci perpetrati per un’intera notte, fino alla sola estrema conseguenza possibile: la confessione di un delitto non commesso. Dalla città di origine, Alcamo, ebbe inizio il lungo calvario per il riconoscimento della libertà di Giuseppe Gulotta, l’uomo che sognava di diventare finanziere, ma che affrontò numerose prove per continuare a credere nella giustizia.

Le inchieste giornalistiche

Il resoconto di quanto accadde dopo la confessione dei quattro giovani arrestati dalle forze dell’ordine, fu appreso dall’opinione pubblica italiana circa un ventennio dopo, grazie a delle importanti inchieste giornalistiche. Una fra tutte è stata quella della trasmissione televisiva condotta da Carlo Lucarelli, Blu Notte, che, prima nel 2007 e poi nel 2009, mise in risalto tutte le incongruenze del caso. Apuzzo e Falcetta, infatti, secondo la ricostruzione degli inquirenti, furono uccisi nel sonno, in una notte fredda di gennaio, ad Alcamo Marina, la località balneare dove d’inverno non succede nulla. La porta della casermetta, però, fu aperta mediante la fiamma ossidrica, una tecnica rumorosa per non essere percepita dai due carabinieri che dormivano profondamente. A scoprire i corpi dei due giovani fu, fatalmente, la scorta di Giorgio Almirante, segretario del Movimento Sociale Italiano. Passando proprio da quelle parti, venne notata la porta aperta della casermetta e una volta entrati gli uomini di Almirante, ritrovatosi davanti la scena del crimine, diedero l’allarme. L’Alcamo degli anni ’70 ed ’80 era una città completamente in mano alla mafia, quella della famiglia di Vincenzo Rimi e dei suoi figli Filippo e Natale. Quest’ultimo prese parte nel 1970 al tentativo di colpo di stato in Italia noto come Golpe Borghese. Sono gli anni in cui vengono uccisi l’ex sindaco e assessore ai lavori pubblici della Democrazia Cristiana, Francesco Paolo Guarrasi e il consigliere comunale Antonio Piscitello. Secondo alcune ipotesi, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, sarebbero stati i testimoni del traffico di armi della mafia, e per tale motivo furono fatti fuori. Dalla mafia corleonese, invece, verrà ucciso il comandante dei carabinieri Giuseppe Russo che seguiva le indagini sulla strage della casermetta, un anno dopo il duplice omicidio di Alcamo Marina. Altri due programmi televisivi si sono occupati recentemente della storia di Giuseppe Gulotta: I cacciatori condotto dai reporter Pablo Trincia e Valentina Petrini in onda, sul canale 9, il tre gennaio scorso, e Sono innocente di Alberto Matano, trasmesso su rai tre giorno 14. Entrambi i servizi giornalistici hanno ricostruito tutto l’iter processuale al quale Gulotta si è dovuto sottoporre prima di ritrovare la libertà. Le confessioni di Gulotta e Vesco, furono infatti ritrattate dagli stessi il giorno successivo agli interrogatori. Giuseppe Vesco, morirà alla vigilia del processo in carcere “suicidato”, termine utilizzato per sottolineare l’improbabilità dell’estremo gesto effettuato da chi come il giovane fosse monco di una mano. Anche Giovanni Mandalà spirerà in cella, per cause naturali, e non potrà vedere il giorno in cui verrà fatta giustizia. Sebbene in primo grado furono tutti assolti, le porte del carcere si aprirono per Gulotta nel 1990, in Toscana, dove si era trasferito e aveva messo nel frattempo su famiglia, continuando a svolgere la sua professione di muratore. Infatti, la Corte d’appello e la Cassazione ribaltarono il verdetto. Nel ’97 gli venne concesso il permesso di lavorare fuori dal penitenziario, luogo dove dovrà ritornare ogni sera per dormire. Nel 2010, dopo le rivelazioni dell’ex carabiniere Olino, si svolge a Reggio Calabria la revisione del processo. Il 27 gennaio 2012, esattamente 36 anni dopo la strage, il procuratore della Repubblica chiede l’assoluzione di Giuseppe Gulotta, cosa che avverrà alla presenza dei suoi avvocati Pardo Cellini e Saro Lauria, quest’ultimo visibilmente provato. Giuseppe Gulotta, dopo essersi lasciato andare in un pianto, stringe attorno a sé la moglie e il figlio che gli sono stati vicini nella sua lotta per ottenere giustizia. Nel 2015, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, nel 2016, gli ha riconosciuto una somma di 6 milioni e mezzo come risarcimento dovuto al clamoroso errore giudiziario. Nel 2016, Gulotta insieme alla reporter Valentina Petrini, è volato in Brasile, per riabbracciare i suoi amici Santangelo e Ferrantelli. I due trasferitesi a San Paolo, dopo la prima sentenza di condanna, passeranno una vita tacciati, ingiustamente, di latitanza. Ai microfoni della giornalista, Gulotta ha affermato “La libertà non è qualcosa che si può spiegare. Ce l’hai e ne godi”. In totale Giuseppe Gulotta ha trascorso 22 anni dietro le sbarre da innocente. Ancora oggi, però, non è stata fatta giustizia per Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo. Sono tante le domande che attendono ancora risposta, come quella sul coinvolgimento o meno nella strage di Gladio, un’organizzazione paramilitare clandestina italiana che operò soprattutto durante la guerra fredda. Inoltre, perché proprio quei quattro giovani furono accusati ingiustamente del delitto? Risposta che potrebbe dare Giuseppe Scibila, il carabiniere ritenuto “La penna del comandante Russo” che condusse le indagini quarant’anni fa.

Linda Ferrara

redazione

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