Leggendo l’ultimo romanzo di Alessandro Piperno ,”Dove la storia finisce“, pubblicato di recente dalla casa editrice Mondadori, sono stato perennemente pervaso da una febbrile domanda: è giunto il momento del capolavoro di Piperno, lo scrittore di origine ebraica che senza ombra di dubbio può essere considerato l’ equivalente italiano di Philip Roth?
Scusate l’attacco ex abrupto di questa recensione, ma ho fatto una lettura forzata del nuovo romanzo dello scrittore romano, tutta d’un fiato, per veder scorrere le pagine, dipanare le storie, svolgere i dialoghi dei protagonisti appartenenti sostanzialmente a due famiglie ebraiche romane gli Zevi e i Mogherini e finalmente giungere al sorprendente finale. Solo apparentemente il personaggio principale sembra esser Matteo, sessantenne ebreo che vive da vent’anni in esilio e ora torna dai suoi familiari. La narrazione in realtà sviluppa la storia attraverso la prospettiva di più di un personaggio, Matteo, Martina, Giorgio e Benedetta. Come nei precedenti romanzi di Piperno, come di solito accade per gli scrittori di origine ebraica, la fabula resta sullo sfondo, non ci sono vicende eclatanti da narrare, né misteri o avventure, i dialoghi sono padroni dello schema narrativo come lo scavo psicologico dei personaggi. Domina l’irrisolto, la perenne ricerca della cultura ebraica di un’identità che la storia ha negato. Un esilio perenne dalla terra promessa che non necessariamente e’ la Palestina, ma possono essere i nostri più intimi sentimenti, le passioni, il bagaglio vivo dei nostri ricordi. Tutti noi come i personaggi di questo bel romanzo di Alessandro Piperno abbiamo qualcosa di irrisolto nella nostra esistenza che spesso ci mette in crisi o nei casi delle persone più sensibili non permette di andare avanti. Il finale del romanzo che per ovvie ragioni non svelerò ci insegna qualcosa di importante rispetto a questo limite dell’esistenza dell’uomo.
Buona lettura!
Vincenzo Piccione