Domenica mattina le associazione “Amici del Terzo Mondo”, “Libera, nomi e numeri contro le mafie”, “Marhaba” e “Archè onlus” hanno organizzato un corteo in occasione della giornata in ricordo delle vittime dell’immigrazione. “Un fiore, memoria e indignazione” è stato il nome scelto per questo momento di raccoglimento che si è svolto lungo il molo Colombo, nel porto di Marsala. L’intento dei volontari era ricordare, insieme, con compostezza, ma anche con disappunto per chi consente che tragedie del genere accadano, le vittime del naufragio avvenuto tre anni fa, di una imbarcazione Libica usata per il trasporto di migranti a poche miglia dal porto di Lampedusa.
“Memoria, dolore ed indignazione per tutti gli uomini che scappando da guerre, fame alla ricerca di una speranza, trovando la morte”, si legge sulla pagina face book del presidio marsalese di Libera, ma l’esito è stato tristemente sorprendente. Infatti mentre i richiedenti asilo rimanevano lungo il molo con il loro lenzuolo con su scritto: “Non sono pericoloso, sono in pericolo”, uno degli avventori che volutamente non aveva partecipato al corteo, ma si era posto in posizione di ascoltatore, ha chiesto di intervenire per “dare il suo contributo”, ha detto. Gli organizzatori gli hanno dato la parola e, rivolgendosi agli immigrati ha detto: “Perché non siete andati in Marocco? Perché vi sparano! Perché non siete andati in Egitto? Perché vi sparano! E siete venuti qua”. Poi parlando direttamente con i volontari delle associazioni presenti ha continuato: “Voi sfruttate questi neri per farci i soldi”. Poi gli organizzatori lo hanno ringraziato per il suo contributo e lui ha risposto che ringraziava loro “per questa sceneggiata”.
Quest’uomo non era solo, ma in compagnia di altri che la pensavano come lui. Altri “indignati” che quindi, in un senso tutto loro avevano ragione di essere lì. Credo che questo sia il complesso del latifondista taccagno. Ho pensato subito alla novella di Giovanni Verga “La roba”, che aveva come protagonista Mazzarò, uomo talmente legato alle sue proprietà che in punto di morte “andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini”, al grido di “Roba mia, vientene con me!”. Ecco domenica, al porto i morti erano altri, eppure quello che si sentiva leso era un italiano, che rivendicava la proprietà della sua terra. E ciò, nonostante si stesse tutti lungo il mare che non è di nessuno ed è di tutti. La tristezza è che le cose sono cose, si usano per un certo periodo di tempo, ma poi dobbiamo lasciarle, in ogni caso. In fondo la proprietà è solo una condizione temporanea e limitante. Se si diventa tutt’uno con la proprietà ci si disanima, ci si spegne. Nel momento del dono, della condivisione, invece, chi porge una cosa la rende strumento di immortalità. È un canale che colora l’etere di bello e unisce persone e popoli. Anche la Terra, il Mondo, è una cosa e nessuno può portarsela con sé, alla morte.