Dopo i tavoli tematici che hanno aperto il primo Festival del Giornalismo musicale del #NuovoMei2016, nella Sala Consiliare si è svolto un convegno valido anche come corso di formazione per i giornalisti iscritti agli Ordini professionali. Tanti i temi affrontati dai relatori moderati da Enrico Deregibus: i decani Giò Alajmo (ideatore del Premio della Critica “Mia Martini”) e Mario De Luigi (Musica e Dischi), il giovane Riccardo De Stefano (vice direttore di ExitWell), Federico Savini (Blow Up) ed il giornalista musicale nonché scrittore Ezio Guaitamacchi. Dalla storia del giornalismo musicale, passando per la critica nel settore e fino al web e l’era 2.0, tanti sono stati gli argomenti trattati e la carne sul fuoco, senza tralasciare qualche polemica. Alajmo inizia citando una frase nuda e cruda di Frank Zappa: “Giornalisti che non sanno scrivere che scrivono di musicisti che non sanno parlare per giornali che non vengono letti”. Sembra che Zappa abbia visto da una sfera di cristallo. “Oggi il giornalista musicale scrive e viene letto da fan che si lamentano o che ne sanno più di lui – ha affermato Alajmo -. La musica non è più la priorità della cultura italiana come una volta, quando il giornalismo musicale era fatto di polemiche politiche e istituzionali anche, di cronaca nera e gossip. Gli stadi si riempivano più per i concerti che per le partite di calcio. Eppure, nonostante oggi non sia più così, checchè se ne dica, i talent sono pieni di ragazzi alle audizioni”. Facendo un excursus storico, il critico ricorda i suoi 36 anni di Festival di Sanremo ed il passaggio tecnologico: “Quando Sanremo non era in diretta e non ‘era internet, si camminava con i gettoni la redazione a cui si dettava il pezzo da mandare in stampa. Se c’erano ospiti stranieri, si faceva lo spelling – ha ricordato -. Il giornalismo musicale nacque ufficialmente in Italia nel ’63 con “Ciao amici” che divenne una rivista. Tre erano gli eventi principali: Sanremo, il Festivalbar e la Mostra di Venezia, al di là di questi eventi gli artisti si facevano vedere solo ai concerti. Allora si usava scrivere di un live in contemporanea. Ricordo un articolo di Mario Luzzatto Fegiz su un concerto di Prince: Fegiz non era presente, scrisse il pezzo in base a indiscrezioni, affermando che, siccome era il compleanno della pop star, alla fine del concerto era uscita una mega torta. Niente di questo è realmente accaduto”.
Le radio libere passavano musica di un certo livello, parlare di musica era parlare del mondo, perchè è collegata alla politica, alla storia. Lo ricorda De Luigi che si è soffermato anche sulla critica musicale e sulla sua importanza. “A Milano era stato istituito il Premio della Critica dove i giornalisti si riunivano per decretare il vincitore, c’erano vari sezioni musicali – afferma il giornalista -. Questo ha aperto la strada anche ad altri Premi della Critica, ma anche a saggi. Con l’arrivo di Internet però, non riesco più a capire la critica, dipende dal numero di like alla recensione? Credo che oggi la critica non esista più”.
De Stefano invece ha parlato di musica e web, di come oggi il cartaceo non possa competere con internet, in cui l’informazione è orizzontale e supera quella sui quotidiani. “Si parla di settorializzazione della musica, Rockit ad esempio, è la migliore testata di musica indipendente perchè sfrutta bene il web”. In realtà le parole di De Stefano non hanno convinto in molti, non hanno convinto neanche noi. Uscendo dalle logiche del business indipendente – che ci devono essere per carità altrimenti non si guadagnerebbe -, le webzine e i blog che si occupano di musica, proprio per il concetto di sopravvivenza, si occupano un po’ di tutto. Dal folk al rock, dal metal al pop e perchè no, eventi di musica classica, il giornalista musicale sceglie di informarsi e di scriverne per avere molti contenuti. Sì, la logica dei like è brutale ma, come Guaitamacchi ha esordito nel suo intervento, rivolto proprio a De Stefano, “… il web viene usato solo il 5% di quanto dovrebbe e tu guardi Youporn”, concedendosi anche una picola correzione storica per Savini. Il vice direttore di ExitWell (rivista che si poteva trovare facilmente al Mei), secondo noi parla per “dati di fatto”, senza studiare l’voluzione storica del fenomeno, senza spiegare quanto i social siano importanti se usati nel giusto modo, quanto siano vitali per un portale le condivisioni e perchè no, i “mi piace”, che spesso fanno guadagnare qualche soldino (dipende da pubblicità, Google Sense, ecc.) a testate che non sono “rinomate” come Rockit ma la cui qualità può essere spesso anche superiore. Questo ci ha fatto capire quanto decani come Alajmo, De Luigi e Guaitamacchi abbiano una visione più lungimirante e acculturata. A seguire Savini ha parlato di giornalismo musicale locale, di folk e di liscio giocando in casa, spesso considerata musica di nicchia. “Mi dispiace che il tavolo tematico sulla musica tradizionale popolare sia andato deserto perchè è importante per capirne le evoluzioni sino ad oggi”.
Ezio Guaitamacchi va a braccio ricordando che per essere un critico musicale non per forza bisogna saper suonare uno strumento e che è proprio lui, insieme a Mussida, a tenere l’unico Master di Critica musicale in Italia. “La critica musica a livello internazionale ha sempre avuto dei problemi – ha specificato l’autore di “Delitti rock” -. Non uso i generi musicali, io uso distinguere la musica commerciale e la musica composta per motivi artistici, per la prima ci vuole un sociologo, non un critico”. Rivolgendo una frecciatina a Ligabue, il giornalista ricorda che un artista deve essere anche predisposto a ricevere delle critiche. La critica però non si deve limitare a dire “quello è noioso”, “quello è antipatico”, ma deve essere costruttiva. Bisogna anche conoscere la storia della musica, ad esempio la nostra cultura non ha prodotto il rock, il blues, il jazz, bisogna quindi conoscere per criticare”. Poi racconta di quando sua sorella ascoltava di nascosto De Andrè e lui origliava dietro la porta: “Dissi a mia sorella: ma cosa significa puttana? Lei mi rispose citando Faber: è una donna che porta la gioia nel paese. Ed io esclamai: allora è come la zia Elena!” (scherza, n.d.r.). Poi ricorda di come la vita del giornalista musicale non sia stata mai facile: “All’isola di Wight alcuni giornalisti andarono in motorino. Oggi siete una generazione comoda. Al concerto degli Who qualche giorno fa nessuno se li è calcolati, molti hanno assistito al concerto più per nostalgia”.