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Pino Maniaci, l’antimafia e il cambiamento culturale

Io non ho la verità in tasca. Non ho mai pensato di averla. E più cresco, più me ne convinco. Tra guelfi e ghibellini mi sono sempre trovato a disagio. Perchè ho sempre provato fastidio di fronte a chi assume posizioni intransigenti con i propri avversari del momento e estremamente concilianti verso gli alleati di comodo. In Sicilia, poi, tutto è più complicato. Non fai in tempo a riflettere se ti senti più vicino al bianco o al nero, alla prima o alla seconda fazione, che immediatamente ti accorgi che le squadre in campo sono molte di più. Siamo isolani, c’è poco da fare. E la tendenza all’isolamento è sempre fortissima.

In questi mesi ho letto con estrema sofferenza tanti articoli sui guai dell’antimafia: la guerra sulla gestione dei beni confiscati, il caso Saguto, le inchieste che hanno coinvolto i vertici di Confindustria Sicilia che avevano fatto sperare in una classe dirigente capace di raccogliere l’eredità di Libero Grassi. Ho letto anche delle infiltrazioni all’interno delle associazioni antiracket di altri personaggi finiti nel calderone di altre indagini giudiziarie, delle tensioni all’interno di Libera e ricordo ancora con imbarazzo quando, qualche anno fa, a Cinisi si riuscì a litigare anche per le manifestazioni in memoria di Peppino Impastato, tenendone due distinte, una in contrapposizione con l’altra.

Oggi ci tocca commentare l’indagine su Pino Maniaci, noto in tutta Italia per le sue trasmissioni di denuncia su Tele Jato. Altro sgomento, altra sofferenza. In questi anni su di lui ho sentito di tutto. Persone che stimo parimenti me ne hanno parlato benissimo, ma anche molto male. Come al solito, ho provato a farmi su di lui un’idea mia, senza abbracciare la vulgata degli entusiasti, né quella dei denigratori. Finendo per pensare che Pino Maniaci, sia una persona da cui mi sento lontanissimo per tante ragioni e molto vicino per altre. Ora, io non so se il patron di Tele Jato abbia effettivamente barattato atteggiamenti compiacenti con gli amministratori in cambio di qualche pubblicità istituzionale sulla propria emittente. Mi piace pensare che l’approccio garantista che spesso si invoca per i politici, rimanga valido anche con Maniaci.

So per certo, però, che molte testate informative del Sud ragionano davvero in questo modo. La scusa, si sa, è sempre la crisi. Un tempo le amministrazioni avevano fondi molto più sostanziosi da destinare alle emittenti e ai giornali locali, mentre l’odierna stagione delle “vacche magre” ha portato sull’orlo della chiusura tante realtà che in passato si erano arricchite solo grazie ai contributi pubblici. Se fosse vero quanto gli si addebita, Pino Maniaci sarebbe ai miei occhi nient’altro che il frutto di quella mentalità e di quella stagione. Un figlio del suo tempo, che, a modo suo, ha comunque cercato di insegnarci qualcosa. Perchè al netto di tutto il resto, le inchieste, le campagne antimafia, la battaglia contro la Distilleria Bertolino di Partinico, non meritano di essere dimenticate. E’ grazie ai suoi servizi, ai suoi tg, alle sue trasmissioni che tanti giovani e tanti cittadini hanno sviluppato una coscienza civile consapevole. La nostra terra sarebbe migliore senza il lavoro che, con i suoi pregi e i suoi difetti, Pino Maniaci ha fatto in questi anni? Non credo proprio.

Fa comodo a tanti, in questi mesi, cercare di buttare via il bambino con l’acqua sporca, senza fare lo sforzo di prendere da ogni vicenda e da ogni protagonista ciò che di buono può aver dato. E in fondo, c’è anche qualcuno che in queste ore si sta fregando le mani, nella convinzione che morto un Papa, se ne possa fare un altro. E’ vero, i nostri esempi (e quindi le nostre azioni) valgono più delle parole che diciamo. Perchè altrimenti, siamo noi i primi ad alimentare una confusione che alla fine fa bene solo alla mafia, al potere e a chi pensa che le cose non cambieranno mai. Ma il problema più evidente, in questa vicenda, è proprio questa continua ricerca di un Papa, di un eroe senza macchia e senza paura a cui delegare tutto, nella speranza che sconfigga il Male come un moderno Don Chisciotte. Un concetto romantico che ci fa oscillare tra esaltazioni e delusioni, ma che serve a poco. Chi ama il calcio, sa bene che le partite si vincono con i le giocate funamboliche dei fantasisti, con i gol dei centravanti, ma anche con le sgroppate sulla fascia dei terzini, le parate dei portieri e i contrasti rudi dei mediani. E il calcio è un’ottima metafora della vita. Allo stesso modo, abbiamo bisogno sicuramente di figure carismatiche che accendano le luci sul tema della lotta alla mafia, ma serve soprattutto una comunità che non si limiti a essere spettatrice o tifosa, ma che ogni giorno spenda il proprio tempo, interpreti il proprio lavoro e coltivi i propri interessi nel segno della legalità.

La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi”, diceva Albert Einstein. L’auspicio è che quest’annus horribilis dell’antimafia prepari davvero il terreno a un’azione più decisa di cambiamento culturale, che a ben vedere è l’unico vero obiettivo per cui valga la pena impegnarci per liberare definitivamente questa terra dalla mafia.

Vincenzo Figlioli

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