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Massimo Bellina: “sul vino Marsala tutti straparlano…”

Massimo Bellina, ex assessore ed imprenditore affermato del settore vinicolo marsalese, interviene a proposito di alcune affermazioni dell’ex assessore Antonino Barraco.

“Scorrendo alcuni dei vostri articoli qualche giorno fa mi sono imbattuto in una comunicazione fatta da un movimento politico marsalese che citava in un passaggio, una frase pronunciata a quanto pare dall’ormai ex assessore Barraco il quale pontificava più o meno così ”Qualcuno il Marsala vorrebbe venderlo solo in padella”. Rivolgendosi presumo ad alcuni o a tutti i produttori. Nel contesto del comunicato si parlava tra l’altro di politica locale, verde pubblico, di un prototipo di vino a docg e altre amenità del genere. Qualora fosse vera, l’affermazione di Barraco sarebbe non solo offensiva per chi come me si batte contro questa errata concezione del nostro vino più significativo da oltre 35 anni, ma dimostra anche una scarsa conoscenza della materia e delle problematiche ad essa connesse. Riprendo all’uopo una mia esternazione di qualche giorno fa condivisa con alcuni amici di Facebook, non si tratta di un semplice copia e incolla poichè considerata la più ampia platea del vostro rotocalco on line, ritengo utile trasferire qui alcuni pensieri allo scopo di innescare una pacifica e spero produttiva discussione. Il tutto parte da una banale osservazione. E’ ormai un dato di fatto che sul Marsala si straparla. Si susseguono conferenze, congressi, meeting e via dicendo che sortiscono l’effetto dell’aria fritta se a parteciparvi sono sempre le stesse persone e soprattutto se le cose, ormai dette e ridette, rimangono confinate all’interno di un’ aula dove chi le rimugina sono sempre le medesime facce. Lecito pertanto immaginare che raccontarsi vecchie storie sia un vezzo tipico di alcuni addetti ai lavori che forse si sono tanto assuefatti alla cosa da non rendersene più conto. Si tratta il più delle volte di passerelle inutili, argomenti che sembrano usciti dal tritacarne, realtà che conosciamo da tempo. Insomma nulla di innovativo. Il Marsala è e rimane relegato in cucina, emarginato nella mente dei consumatori, preda di uno stereotipo che negli anni non si è modificato di un millimetro. Ora si pensa a nuove tipologie in grado di sovvertirne l’immagine. Si parla di un prodotto non fortificato, quindi senza aggiunta di alcol. Come se questo fosse la causa del continuo declino commerciale di questo vino. Per carità, nulla di disdicevole solo che si tratta di una cosa diversa, una versione che stride con la genetica stessa del Marsala che nasce, così come il Porto, in virtù di una tecnica antica che prevede l’uso di un distillato per aumentarne il grado alcolico. Nessuno si immagina un Porto fatto in maniera diversa. Non si discute su come valorizzare quello che già possediamo e che è di qualità, ma piuttosto di alimentare la confusione che è l’unica cosa che negli anni non si è erosa, con nuove tipologie che di certo non risolvono né il problema dell’immagine né quello della creazione di valore.

Troppo spesso si dimentica che esistono certe versioni innovative in grado di sostenere commercialmente anche i prodotti più tradizionali, quelli che secondo alcuni sono qualitativamente carenti perché “contaminati dall’alcol”. Insomma chi afferma tutto ciò dimostra di avere un’approssimativa conoscenza del mercato ed in più propone soluzioni che non risolvono il problema ma rischiano anzi di complicarlo alimentando eccessive ed irrealistiche aspettative. Viene quasi il sospetto che, magari in buona fede, ci sia un pizzico di” Cicero pro domo sua” alla base di queste proposte. Ma del complotto non ci sono prove pertanto questa rimane solo un’illazione come tante, una provocazione, nulla di serio. Inaccettabile invece è l’atteggiamento di chi vuole fare passare per buono un messaggio fuorviante e cioè che solo i vignaioli siano gli eletti in grado di riesumare al meglio  una sorta di vino simile a quello proposto allo scopo di nobilitare la categoria. Si tratterebbe in sintesi del vecchio” altogrado” largamente presente sulle tavole dei nostri contadini nel passato ma ancora apprezzato da qualcuno.  Questi “vignèron” per dirla alla francese, sarebbero pertanto, secondo questa teoria che non si applica solo a questo caso, gli unici capaci di infondere qualità al prodotto mentre per tutti gli altri, in particolare per le grandi aziende, la qualità se c’è va discussa di volta in volta e non è affatto scontata.  Per amore di chiarezza voglio con forza sottolineare che i vignaioli sono e saranno sempre un autentico pilastro della filiera vitivinicola ma come loro lo sono anche le medie e le grandi aziende, che fungono da collettori nel trasferimento del vino sul mercato  e che comunque svolgono anche un ruolo sociale sul territorio creando posti di lavoro quando le condizioni lo consentono. Ognuno gioca il suo ruolo e santificare gli uni demonizzando gli altri non è certo il modo giusto per procedere sfruttando le sinergie a disposizione. Di certo  un concetto deve essere chiaro nella mente del consumatore. Abbinare qualità a volumi è molto più difficile che produrre qualità nelle piccole tirature. Quello del vino è un mondo strano, dopo tanti anni stento io stesso a capirlo. Si tende ad attribuire a questo grande regalo della nostra terra un’importanza superiore a quella che ha rischiando talvolta di trasformare una materia tutto sommato semplice in qualcosa di complicato che trascende dalla natura stessa del prodotto. Il gusto e l’aroma del vino sono estremamente soggettivi. In breve un vino è buono se piace a chi lo beve, non ci sono alchimie o speciali tecniche per  farne apprezzare la qualità tranne quella di una certa attenzione, da parte di chi lo degusta, appunto sull’aroma e sul gusto. L’umanità potrebbe forse farne a meno ma sarebbe un mondo più triste e tutti noi faticheremmo di più a socializzare e goderci il bello della vita. Chi complica questa materia e taluni lo fanno ad arte per un mero ritorno economico, rischia di tirare troppo la corda eccedendo con la fantasia e l’invenzione col risultato di renderne più difficile la comprensione.  Insomma, ritornando al Marsala, il materiale su cui riflettere è tanto e il tempo che resta per trovare un rimedio che metta tutti d’accordo prima che uno dei vessilli della nostra storia versi sul mercato l’ultima goccia di sangue o muoia di inedia non è infinito. Nel frattempo esiste un Consorzio sostenuto da poco più di tre produttori. Gli altri nel tempo hanno deciso di abbandonarlo non si capisce se per diversità di strategie o per risparmiare sui contributi. In tempi di OCM questo è un grave errore. Un Consorzio più forte e rappresentativo potrebbe gestire Campagne promozionali ed informative che se affidate a mani esperte e con investimenti privati limitati, potrebbero essere molto utili nella conquista di quell’immagine di autentico vino da aperitivo o dessert che è, in definitiva, il vero problema del Marsala”.

Massimo Bellina

Gaspare De Blasi

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