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Una testimonianza da Bruxelles, la marsalese Martina Ferracane racconta: “Colpiti per ricordarci che non siamo al sicuro”

Lo sgomento è ormai diventato il fedele compagno di viaggio della nostra quotidianità. E’ lì, seduto accanto a noi, ogni volta che accendiamo la tv, la radio o diamo un’occhiata al web per gli aggiornamenti dell’ultim’ora. Era con noi lo scorso 13 novembre, quando le agenzie hanno cominciato a battere i primi flash di una Parigi messa a ferro e fuoco dai terroristi. Ce l’eravamo sentito addosso anche dieci mesi prima, di fronte alla strage consumata nella redazione del giornale satirico “Charlie Hebdo”, così come il 7 luglio del 2005 a Londra o l’11 marzo del 2004 a Madrid. Attacchi consumati nel cuore dell’Europa che ci hanno fatto sentire quantomai vulnerabili, esattamente come in queste ore. Non solo per l’umana pietas provata per le vittime (che dovremmo provare anche quando sono di nazionalità siriana, egiziana o libica, naturalmente), ma anche perché ci hanno fatto pensare che quello che è successo a Bruxelles potrebbe accadere in qualsiasi angolo del nostro continente o potrebbe coinvolgere persone che ci sono molto vicine. Non a caso, ieri, il primo pensiero di tanti – me compreso, lo ammetto – è stato quello di vedere se tra gli amici di Facebook c’era qualcuno che per studio o per lavoro si trovava in Belgio e se, per caso, era rimasto coinvolto nei due attentati terroristici. Da qui è partita l’idea di contattare una giovane marsalese, Martina Ferracane, che vive a Bruxelles. Dopo aver lavorato per la Commissione Europea, adesso è policy analyst presso l’ECIPE (European Centre for International Political Economy). Abbiamo pensato che le sue parole avrebbero potuto raccontare quello che è successo ieri in Belgio molto meglio di quanto avremmo potuto fare noi.

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L’Unione Europea è un sogno che uomini brillanti e visionari sono riusciti a realizzare. In un momento in cui mille forze stanno minando questo sogno, ci ritroviamo a subire un attacco codardo nel cuore dell’Unione. Dopo le tensioni post-Parigi, la situazione si era stabilizzata qui a Bruxelles e ci eravamo abituati a pensare che i militari

Martina Ferracane

negli aeroporti e nelle stazioni fossero qualcosa di normale. Ci hanno colpito ancora per farci ricordare che non siamo al sicuro. Da stamattina c’è (ieri per chi legge ndr) un susseguirsi di ambulanze e macchine della polizia.. Vivo a pochi passi dal Parlamento e dalla stazione della metro dove c’è stato l’attentato, e ad ogni ambulanza che passa mi si stringe il cuore. Il mio aereo sarebbe stato giovedì, per fortuna, ma questo non mi rincuora. Continuano ad arrivarmi messaggi chiedendomi se sto bene e se i miei amici stanno bene. Stiamo bene, fisicamente, ma c’è stato un bagno di sangue. Al di là di chi sia stato fortunato, quello che importa è che persone innocenti hanno perso la vita. Almeno 34 vittime sono state confermate e mi chiedo quante altre persone dovranno morire per renderci conto che non possiamo continuare su questa strada. L’odio verso il diverso ha vinto ancora una volta e più odio peggiorerebbe solo la situazione. E’ in questi momenti che bisogna essere più uniti ed aperti verso gli altri. Gli abitanti di Bruxelles hanno risposto aprendo le porte alle persone che hanno bisogno di un tetto e scrivendo messaggi di pace in una via pedonale del centro. Spero che questo episodio ci renda più aperti verso i rifugiati, che scappano da situazioni ben peggiori di quelle che stiamo vivendo qui a Bruxelles.

Martina Ferracane

Vincenzo Figlioli

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