Che oggi non ci sia più la forza di scendere in piazza per protestare contro le scelte scellerate dei governi che si sono alternati, è tragicamente vero. Ma oggi l’informazione dovrebbe accendere i riflettori su quanto sta accadendo all’Università Alma Mater di Bologna. Gli studenti che fanno parte dell’’Assemblea di Scienze Politiche e di Cua sono tornati alla carica contro il docente Angelo Panebianco della Facoltà di Scienze Politiche, nonché editorialista del Corriere della Sera. I ragazzi, che già qualche anno fa avevano murato l’ufficio del professore ed imbrattato la porta con vernice rossa, probabilmente per ribadirne il colore politico, sono entrati con il bavaglio alla bocca esponendo dei cartelli contro le operazioni belliche in Medioriente. Gli attivisti hanno fatto una pacifica irruzione nell’Ateneo facendo ascoltare ai loro coetanei registrazioni con i suoni della guerra. Proprio come mesi fa, ha fatto il Coordinamento contro la Guerra e la nato in un flash mob tenutosi in Piazza della Repubblica a Marsala. Ad innescare le forti e decise proteste, le dichiarazioni di Panebianco in materia di politica estera e di presa di posizione a favore della guerra. Al momento però, nessuno pare schierarsi accanto ai giovani. Se fosse stato negli anni ’60, ’70 o ’80 sicuramente la situazione sarebbe diversa ed in questo una parte di ragione Panebianco ce l’ha: manca la cultura che allora legittimava la rivoluzione. Ma non può essere una giustificazione. Oggi Governo, istituzioni (persino Romano Prodi) difendono la libertà di espressione del docente che definisce i movimenti “gruppuscoli”, lui che non ha mai detto di essere un guerrafondaio lamentando invece l’assenza di una cultura della sicurezza. “Si tratta di un’assenza grave oggi, data una situazione che quasi certamente spingerà, sotto l’egida delle Nazioni Unite, una coalizione di Paesi di cui faremo parte, a tentare di stabilizzare la Libia, bloccando il pericolo mortale per tutti noi rappresentato dallo Stato islamico”, ha detto Panebianco. Tempo fa noi avevamo difeso la libertà di parola di un raffinato intellettuale come Herri De Luca quando si schierò contro la Tav subendo un processo. Ma il peso delle parole di Panebianco e di De Luca non è certo lo stesso e così facendo il docente dell’Alma Mater rischia di essere frainteso soprattutto in un periodo delicato dal punto di vista dei conflitti tra Italia, Usa, Nord Africa. Dichiarazioni come queste mettono in pericolo, come giustamente hanno affermato gli studenti-attivisti, l’università, che deve essere campo di battaglie culturali, di confronti, anche di scontri e di saperi.