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Pittura desoggettivata. La mostra di Raffaella Anania al MerKaBa

Con la pittura l’isteria diventa arte. O,

piuttosto, con il pit­tore l’isteria diventa pittura.

Gilles Deleuze

Se vedere non è parlare, come parlare non è vedere, come porsi di fronte alla mostra di pittura di Raffaella Anania (gennaio/febbraio 2016, Caffè Letterario MerKaBa di Marsala) e al suo “fare immagine”? Perché l’arte è pensare per immagini, e il pittore, dice Deleuze, è colui che trasforma l’isteria in pittura! L’isteria diventa arte (Gilles Deleuze, Francis Bacon. La logica della sensazione). L’immagine però appartiene anche alla parola e alla musica, sebbene ognuna abbia un suo specifico modo di essere immagine: immagine della visione; immagine della parola; immagine del suono.

Così, se c’è una parola che si fa immagine e ne rende i rapporti, possiamo allora provarci a dire due o quattro cose intorno all’opera di quella mostra di Raffaella Anania al MerKaBa di Marsala.

Tentiamo allora l’ascolto visivo delle risonanze coloristiche delle linee curve, o delle pieghe, o delle onde pittoriche che formano-deformano il suo “faire image” facendolo oscillare tra il figurativo – illustrativo-narrativo? – e l’“isterializzazione” del figurale ondulatorio, specie lì dove l’immagine di un corpo di donna o di un viso femminile, procedendo come un gambero, viene riassorbita dagli elementi materiali e vitali da cui emerge: le forze cioè che vibrano e le cui frequenze si contraggono o distendono determinando una forma, un corpo misto o meno.

Sono le immagini pittoriche che popolano le superfici topologiche dei quadri dell’artista Raffaella Anania e che, ci sembra, rinviano più a uno spazio riemanniano! (più linee e più superfici, una molteplicità) dove l’“isteria”, il movimento, stabilizza e destabilizza mutuamente l’onda o le curve in linee sinuose.

Naturalmente ciò non significa né che l’opera ci racconti di un’isteria dell’autore, né che i versi e i conversi di questo divenire delle immagini rimandi ad addentellati di ordine psico-analitico-simbolico particolari (il che sarebbe uno sminuire o subordinare il suo fare immagini ad altri saperi; se volessimo tentare un minimo rimando sarebbe solo alla rêverie degli elementi primordiali e vitali del pensiero di Gastone Bachelard. Ma ci fermiamo!) o a generiche emozioni stereotipate e bêtise del mercato comunicativo corrente.

L’arte, se è arte, non interrompe solo la comunicazione-mercato, ma apre il pensiero al delirio e a un fare immagini che non cristallizza i blocchi del divenire della vita, quelli cioè che s-catenano le forme chiuse e i modelli di cui, queste, sarebbero copie. Così se “il cielo è una coperta d’aria fresca” (scrive Raffaella Anania), il suo “terzo occhio” taglia la coperta e deforma la “culla”. Questo punto di vista, aprendo dei passaggi, ne mette così a nudo l’intreccio e i divenire differenziali. Le aperture, infatti, ne scandagliano le forze arlecchino e “im-personali” (cfr.“Lei appartiene al mare”; “Donna flora”…). Il “lei” indica, secondo noi, un’anomia (il terzo occhio?), così come la nozione donna e flora sono altrettanto impersonali quanto le “forze” vitali che li eventualizzano in un composto singolare di reciproca indiscernibilità o di disorganizzazione del rapporto rappresentativo classico (cfr. R. Anania, “Il riposo”), lì dove è obbligo leggere il disegno delle opere prendendo lezioni dall’incedere a ritroso del gambero.

Nessuna differenza di genere o specie in questo “fare image” è priva dell’oscillazione dis-identificante o tale che possa dividere le due identità; queste, simbioticamente, si scambiano l’essere l’una dell’altra e viceversa. È impossibile, sebbene il nostro modello percettivo abituale protesti, una visione sola rappresentativo-prospettica; quella cioè che consente di separare la donna dalle onde marine o, altrove, un volto di donna dalle alghe. C’è sempre nel circuito espressivo dell’intreccio una reciproca risonanza (divenire alghe/flora del corpo individuato e viceversa).

Come diceva Cézanne, la mano del pittore è un blocco di “sensazioni coloranti” in mutuo movimento di intersecazione (la mano vede e l’occhio tocca), ma quando l’attimo arriva la mano del pittore afferra la luce in fuga e intensivamente la distende facendola impasto e immagine pittorica. Non diversamente procede, pare, l’artista R. Anania. I movimenti ondulatori e vibratori delle frequenze luminose sono quiete e moto continuo, che la sua mano ottica veste di valori cromatici concretizzanti determinazioni percepibili ma provenienti dall’impercettibile fuori. In questo quadro (allora) la costellazione figurale del “riposo” è solo la distensione delle velocità impercettibili (il fondo) delle forze che la pittura “blocca” e le determina nell’eidos, o nell’“aspetto” (immagine) del riposo sereno e distante; quello che si pone sulla tela e si espone alla vista del visitatore, invitandolo a proiettarvisi (?). È un interrogativo narrativo che non smette di pungere!

È l’opera stessa tuttavia, crediamo, che, in quanto superficie di tratti, linee, colori contorni, astrazioni e incarnazioni, si forma e si deforma continuamente in un intreccio chiasmatico immanente e dinamico, che ci dice di un evento, di una singolarità pittorica che insidia l’organizzazione antropomorfa. Un complesso di materia-espressione e di espressione-materia come un blocco autonomo di “percetti” e “affetti” (ancora G. Deleuze); un “essere” di sensazione/i che si materializza/no e di materia che si fa corpo/i sensibile/i lì dove l’indiscernibilità degli elementi dell’ordine caotico cercano la “formazione” e le forze e l’arte del “rendere visibile”, creando/costruendo un composto artistico che emerge di volta in volta; una com-posizione come un movimento in cui l’uno diventa un po’ dell’altro e l’altro un po’ dell’uno.

Così le “Figure” artistiche della pittrice Raffaella Anania sono da cercare, ci sembra, nell’ordine dell’intreccio e della mescolanza, o in ciò che fa sì che «donna» diventi un po’ di «flora» o di «aria» o di «mare», mentre questi stessi elementi divengono un po’ donna o di donna-tappeto volante («Il volo»). Divenire flora della donna e divenire donna della flora (“Donna aria”, “Donna flora”; “Lei appartiene al mare”, “Il volo” …). Nessuno di questi composti estetici è di tipo mimetico. Le immagini, relativamente al segno «donna», non somigliano a nessuna identità in particolare, né tanto meno esprimono un vissuto personale.

Nessuna immagine delle opere esposte è un’imitazione, o una identità individualizzata; ognuna infatti è un divenire-donna-flora o divenire-donna-aria o divenire-donna-mare o divenire-donna-sole, e, nello stesso tempo (nonostante il volto determinato degli stessi elementi in gioco), un divenire non umano dell’umano. Una conversione in quanto divenire simbiotico di forze eterogenee e im-personali. Le forze materiali-immateriali e determinate-indeterminate della vita e della sua temporalità. Almeno così appare a chi scrive!

Ma la stessa artista Raffaella Anania ci ha impedito di dubitare?…: «Respira il mare, sdraiati sulla sabbia morbida e tiepida. Il cielo è una coperta d’aria fresca. La natura è culla»!

Antonino Contiliano

Claudia Marchetti

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