Rinviato al prossimo 16 marzo il processo che vede imputato per circonvenzione di incapace l’ex sacerdote marsalese Vito Caradonna. L’aggiornamento dell’udienza è dovuto alla assenza del giudice monocratico, Matteo Giacalone. La vicenda riguarda il sacerdote che, secondo l’accusa, aveva ottenuto un prestito da un suo parrocchiano della chiesa di san Leonardo. Si trattava di una somma di circa 70 mila euro. Nel corso delle indagini la Guardia di Finanza riuscì a scoprire che il prete avrebbe ottenuto il prestito perché l’uomo aveva dei problemi di invalidità mentale, tanto che da ex militare in carriera nella Marina era stato “dimesso” con una pensione per motivi di salute, dopo circa 9 anni di servizio. Aveva anche ottenuto il riconoscimento per causa di servizio. Secondo l’accusa, Caradonna approfittò dell’incapacità del soggetto per lo stato di infermità. Il sacerdote ha sempre sostenuto che a garanzia del prestito erano stati dati alcuni titoli, risultati poi inesigibili. La casa che l’ex cappellano del carcere di Marsala aveva acquistato, sembra con quel denaro, dovette poi vendere per saldare il debito. Insomma il debito è stato saldato. La difesa dell’ex sacerdote (sospeso dalla funzioni dal vescovo di Mazara perché condannato in primo grado e in appello in un procedimento che lo vedeva imputato per tentata violenza su di un uomo), sostenuta dagli avvocati del foro di Marsala, Luigi Pipitone e Francesco Fontana, mira a dimostrare che l’ex militare era capace di intendere e di volere e prestò il denaro al Caradonna i maniera consapevole. Per questo oggi era stato convocato tra i testi della difesa uno psichiatra di parte. “Non volevo circuirlo – aveva dichiarato Vito Caradonna nella scorsa udienza –, mi occorreva del denaro per pagare un mutuo che avevo acceso per l’acquisto di una abitazione. A garanzia del prestito ho dato degli assegni. Nessuna segreto ho pure accompagnato l’ex militare alle poste ”. In merito al fatto che l’uomo fosse affetto da una patologia invalidante Caradonna aveva dichiarato di non esserne a conoscenza. “Sapevo che era autonomo – ha detto al giudice l’ex sacerdote -. Viveva da solo, faceva acquisti autonomamente e sul conto che aveva alla posta solo lui poteva operare. Non c’erano cointestatari o persone che dovevano autorizzare al prelievo o a disinvestire i buoni fruttiferi che aveva”.