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L’escalation della paura

Abbiamo imparato a convivere, in questi giorni, con la paura del terrorismo. I “voli” dalle finestre del World Trade Center nell’11 settembre americano, ci hanno insegnato che ciò si traduce in una paura più inquietante, quella del terrore. Quelle persone preferivano morire gettandosi dal 90° piano piuttosto che morire asfissiati da una nube tossica. E bisogna considerare che in quel momento non sapevano cosa stesse esattamente accadendo, ma avevano già scelto. Dopo i fatti di Parigi, stiamo vivendo “l’escalation della paura” che oggi è giunta ad uno step successivo: la paura della paura. Perché è questo che si vuole generare negli individui, nella psiche umana e l’Isis, oltre ad essere un’organizzazione criminale, è anche il viatico per infondere questa paura. Il Papa che al momento si trova in Africa, ha fatto una giusta considerazione: “Dio non può essere usato come giustificazione della violenza”. Bergoglio ha usato bene la parola: giustificazione. Il termine, a mio avviso, va così inteso: Dio, qualsiasi Dio, in questa sorta di “strategia della tensione” atto 2, non c’entra nulla se è vero che il fine ultimo della religione è la pace tra i popoli. La presenza unita di musulmani, ebrei e cattolici ai funerali di Valeria Solesin ne sono stati un esempio lampante. Senza creare falsi allarmismi, chi in questi giorni, uscendo un sabato sera, non si è chiesto “e se quello che è accaduto a Parigi accadesse qui in questo momento?”. Non è giusto pensare una cosa del genere eppure è quello che si vuole generare nella popolazione, ovvero seminare il terrore, renderci sottomessi, farci mettere in ginocchio, impartirci l’obbedienza. E gli Stati non sono esenti da colpe. Quando i governi Usa, Russia, Francia, affermano di combattere uniti l’Isis andando a bombardare le loro città (uccidendo innocenti), dichiarando guerra e arricchendo le basi Nato dei nostri territori con uomini e mezzi pronti all’attacco, non fanno altro che assecondare quel terrore. L’Italia invece fa un passo avanti e tre indietro, si allea con la Francia ma non vuole parlare di azioni militari in Siria, aumenterà le forze in Libano ma “ripudia” la parola “guerra”. A guardare bene la sua posizione geografica, sarebbe il primo paese a pagare le conseguenze di una possibile terza guerra mondiale. Anche l’Italia ha paura. E noi? Noi non siamo più liberi di andare ad un concerto, di entrare in metropolitana, di mangiare una pizza al ristorante, ci dicono che è pericoloso anche prendere gli aerei, meglio evitare. Meglio non vivere, bloccare l’economia. Delle due l’una: cosa possiamo concretamente fare? Oggi più che mai c’è l’esigenza di convivere con la paura che è la risposta sicuramente più infelice ma la più semplice e la più urgente.

Claudia Marchetti

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